Nel lontano gennaio 2005 intervistavo per “IL NUOVO” la coppia di alpinisti che pochi giorni fa (11 maggio 2017) ha completato la salita a tutti e 14 gli Ottomila dell’Himalaya. La ripropongo ora, orgogliosa di Nives e Romano, e commossa per quanto vi ritrovo e che avevo dimenticato. Nives e Romano non sono cambiati affatto, come si potrà notare!
Lasciata la pianura nebbiosa, nella Val Canale splende il sole e più su la piana di Fusine è di un biancore accecante.
L’imponente muraglia del Mangart si staglia contro il cielo, una parete di quasi 1000 metri che può ben far sognare delle vette dell’Himalaya.
Proprio ai suoi piedi, alla fine della strada, in una casa rosa pallido dall’architettura tradizionale, vivono Nives Meroi e Romano Benet quando non sono impegnati in qualche spedizione extraeuropea. Nella nostra regione tutti li conoscono già – o almeno dovrebbero conoscerli – tuttavia solo venendo qui si può capire, penso, come è nata, nell’ormai lontano ’89, quella loro straordinaria carriera alpinistica che li ha portati – compagni di vita e di cordata – a scalare in stile alpino i giganti himalayani. Nanga Parbat, Shisha Pangma, Cho Oyu, Gasherbrum II e I, Broad Peak e Lhotse: sono già sette gli Ottomila himalayani di cui hanno raggiunto la vetta, ma molte altre sono le spedizioni, più difficili e ambiziose, in cui hanno tentato vie nuove in Himalaya mancando di poco l’obbiettivo, come sull’Everest nel 1996 o il K2 nel 2004. Ciononostante i media non si sono ancora impadroniti di loro, con i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta.
Nives, bionda, minuta e sorridente, ci accoglie nel suo soggiorno luminosissimo, dalla grande vetrata il Mangart sembra voler entrare a sedersi a tavola con te. “Sai, non c’è niente di più bello per me del far colazione qui, in compagnia del Mangart con tutti i suoi umori.Ormai siamo dei vecchi amici e io sostengo che questa è la sua parete più affascinante”.
Poco dopo arriva Romano, ancora con la divisa della Forestale addosso, è appena tornato dal lavoro. Sereno e sorridente, i capelli leggermente brizzolati, un modo di fare semplice e diretto. Ci beviamo un caffè nella luce scintillante che inonda tutta la stanza.
Prima domanda di rito: quali saranno le vostre prossime mete? “Non lo sappiamo ancora con esattezza per i problemi legati ai permessi, ma vorremmo tentare due Ottomila, il Dhaulagiri e l’Annapurna. La partenza è già fissata per il 3 aprile, dovremo approfittare della breve stagione favorevole prima del monsone estivo.”
Sempre in stile alpino, vero? “Naturalmente, e sempre noi tre: Romano, Luca Vuerich di Pontebba e io. Le chiamano spedizioni leggere, tuttavia non c’è niente di più pesante dello stile alpino in Himalaya. Visto da sotto il peso di uno zaino, il paesaggio himalayano cambia radicalmente, come dice il grande Reinhard Karl.”
Quali sono le difficoltà che vi attendono? “Per quanto strano possa sembrare, le difficoltà maggiori sono legate alla richiesta dei permessi per le scalate, che sono costosissimi, qualche decina di migliaia di euro per le vette più famose, e questo, per noi che ci autofinanziamo, è il principale problema. In Himalaya ci sono ancora molte pareti sconosciute da scalare e vie da ripetere per la prima volta, ma logicamente va a finire che, quando hai fatto un investimento così considerevole per i permessi, preferisci scegliere una via che ti dà maggior sicurezza di arrivare fino alla vetta. Una spedizione himalayana su una via nuova difficilmente riesce al primo tentativo, così noi finora abbiamo sempre alternato una meta più sicura a una più incerta e difficile.”
Nives, la stampa ormai ti chiama “la donna più alta d’Italia”, “la signora degli Ottomila” e simili altre piacevolezze giornalistiche. Però sta di fatto che con la prossima spedizione aggiungerai altre due perle di ottomila metri alla tua collana: ne basterà una per metterti alla pari con Wanda Rutkiewicz, l’unica donna al mondo ad aver scalato otto Ottomila. Poi, con la successiva scalata, avrai il primato mondiale. Facci un breve riassunto dei tuoi esordi:
“Sono nata nel 1961 in provincia di Bergamo. Ero ancora piccola quando la mia famiglia si è trasferita a Tarvisio e come tanti altri ragazzi qui mi dedicavo d’inverno allo sci e d’estate all’atletica. Ho frequentato il liceo linguistico a Udine e avevo solo il sabato e la domenica per andare in montagna e allenarmi. In quell’epoca nasce anche il sodalizio alpinistico con Romano. Nell’89 ci siamo sposati e come viaggio di nozze abbiamo fatto la nostra prima spedizione extraeuropea, in Sudamerica.
Al ’91 risale invece la prima spedizione himalayana al versante Nord del K2, seguita nel ’94 da una seconda spedizione, sempre al K2. Le scalate sulle nostre montagne, qui, sulle Giulie, sul Mangart, sono state per noi una scuola importantissima: un ambiente severo, poco conosciuto, frequentato da pochi alpinisti e pochi escursionisti, tanto che ti fa piacere sapere che c’è qualcun altro in parete oltre a te. Questo ambiente ti insegna a praticare un alpinismo esplorativo e devi affinare le tue capacità di trovare la via. Devi essere consapevole dei tuoi mezzi, avere autonomia fisica e psicologica, sapere che non puoi far conto su un soccorso immediato. E’ una scuola estremamente importante per l’Himalaya. Pensa che l’estate scorsa al campo base comune dell’Everest c’erano 400 persone: avere intorno così tanta gente ti infonde una falsa sicurezza che ti si può rivolgere contro. Salire un Ottomila presuppone una conoscenza molto profonda di te stesso, saper ascoltare i messaggi che il tuo corpo ti dà, presuppone concentrazione totale e mente libera. L’alpinismo delle Giulie non è un alpinismo da consumare, e ti aiuta a preparare la mente alle grandi montagne dell’Himalaya. Ripenso a quando abbiamo fatto la prima invernale al pilastro Piussi del Piccolo Mangart di Coritenza: 5 bivacchi durissimi appesi in parete, per non parlare delle difficoltà di arrampicata.
Com’ è l’equilibrio alpinistico all’interno della vostra coppia? “Romano tecnicamente è molto più bravo di me e si muove con intuito formidabile in ogni situazione nuova.Se non ci fosse stata la sua spinta non credo che avremmo fatto tutto questo. Lui è più attratto e affascinato di me dall’ignoto e dall’avventura, pur essendo totalmente radicato qui, nel posto dove è nato. Gli piace andare lontano per poi tornare.”
E quando tornate? “Molti immaginano che la mia vita sia tutto un andar per monti, ma questo purtroppo non è del tutto vero. Il mio compito, qui a casa, è quello di organizzare le “public relations” e prendere contatti per le conferenze e le proiezioni che alla fin fine ci consentono di sbarcare il lunario e di pagare le bollette della luce e del gas. Tutti sono convinti che grazie alle sponsorizzazioni noi possiamo dedicarci alla nostra attività alpinistica senza pensieri, ma non è così, la situazione qui in Friuli è particolarmente difficile, mentre sappiamo che in altre regioni d’Italia le cose stanno ben diversamente.”
Un pensiero sorge spontaneo: la nostra regione quando deve scegliere un biglietto da visita per la montagna preferisce affidarsi a uno stucchevole fotomontaggio di studio piuttosto che rivolgersi ai suoi eccezionali alpinisti in carne ed ossa. Nemo propheta in patria, si dice.
Parlateci delle vostre proiezioni, sappiamo che ne avete già parecchie al vostro attivo.
“Sì, sono ormai diversi anni che il nostro team alpinistico, formato da tre persone, Luca Vuerich, Romano e da me, è diventato per così dire anche un team fotografico. Noi facciamo tutto da soli: le fotografie, che sono opera di Luca, i filmati (opera di Romano), il montaggio, i testi. Se lo fai da solo dai al lavoro davvero l’impronta che vuoi. Abbiamo appena finito il montaggio di “Cartoline dal Khumbu”, che racconta la spedizione del 2003 al Lhotse, il nostro primo ottomila in territorio nepalese. Lo abbiamo presentato in anteprima a Tarvisio ai primi di gennaio”
Le proiezioni di Nives e Romano sono davvero coinvolgenti e si distinguono nettamente da tanti altri lavori monotoni e autocompiaciuti, tutti tesi a mostrare l’impresa eroica e “no limits”. Loro invece danno grande spazio all’avvicinamento e alla vita del campo base, al viaggio e all’avventura di cui la “conquista” della cima è solo una parte, certamente gratificante, ma non l’unico scopo. E il fascino del racconto per immagini è accresciuto dal commento scritto da Nives, mai banale, mai enfatico, ma essenziale e poetico.
Nives, quando mai potremo leggere un libro scritto da te? “Ho dei contatti con una casa editrice, ma devo prima trovare il filo conduttore. Durante le spedizioni tengo un diario, ovviamente. E’ bellissimo scrivere e leggere al campo base, perchè, a parte fare il bucato, non hai distrazioni e ci sono spesso tempi lunghi tra una salita e l’altra. E’ importantissimo portarsi via i libri giusti da leggere. L’anno scorso in Nepal avevo alcuni libri di Erri De Luca, Le affinità elettive di Goethe, Un nome da torero di Sepulveda e qualche Maigret. Ma il libro che mi è piaciuto di più è stato Il profumo di Süskind. Invece non ascolto musica quando sono in spedizione. E’ così bello il silenzio”
Dalla proiezione “Montagne oltre le nuvole”:
“Tutti gli uomini sognano. Non però allo stesso modo.Quelli che sognano di notte, nei polverosi recessi della mente, si svegliano al mattino per scoprire che il sogno è vano. Ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, giacchè a essi è dato vivere i sogni a occhi aperti e far sì che si avverino.” T.H.Lawrence
©Antonietta Spizzo 2005 per “IL NUOVO”