Alla Stazione Transalpina di Nova Gorica, sotto la guida sensibile e coinvolgente di Marinka Velikonja, è possibile fare un viaggio approfondito e obbiettivo nella dolorosa storia del confine.
Concludo questa serie di storie dal confine con quello che in realtà sarebbe dovuto essere il primo articolo. Se per le mie interviste avessi rastrellato informazioni in modo più sistematico certo sarei capitata ben prima da Marinka nello straordinario Museo della Frontiera che si trova lì, appena oltre la linea dell’ex confine, nella stazione Transalpina a Nova Gorica.
Marinka Velikonja, classe 1944, occhi luminosi, volto aperto, modo di raccontare accattivante, adesso che è in pensione si dedica a illustrare con passione i contenuti del museo a chiunque lo voglia visitare.
Dopo aver lavorato per molti anni al comune di Nova Gorica nel campo del turismo e della cultura, nel 1988 ha fondato la prima agenzia viaggi privata della città. L’ha battezzata “Lastovka”, cioè rondine, e le ha trovato un “nido” proprio nello storico e splendido edificio costruito nel 1906. Penso che ha trovato il giusto nome e il giusto posto per un osservatorio privilegiato sulle migrazioni e sui cambiamenti epocali: “E’ bello andare per il mondo – dice Marinka – ma poi è bello tornare a casa; per questo la mia “rondine” si trova simbolicamente vicino alla frontiera che ha visto tanti emigrare.” E adesso che fa il cicerone Marinka si trova in una posizione ancor più privilegiata per le tante straordinarie storie che continuamente raccoglie da coloro che visitano il museo e che si confidano con lei – come in una seduta psicanalitica – quasi liberandosi da angosce e rovelli portati per decenni nell’intimo.
Quella linea di gesso
“Il museo è stato creato nel luglio 2005, ed è stato visitato già da 11.000 persone – racconta Marinka – L’esposizione inizia con il maggio 1945 quando a Gorizia vivevano ancora assieme sloveni e italiani, come era stato per quasi mille anni. In un primo momento, con la linea Morgan, fu creata una zona A, sotto il controllo americano, e una zona B, sotto controllo jugoslavo. Il confine correva lungo l’Isonzo e il Vipacco, ci voleva un documento da mostrare ai punti di controllo ma a parte questo la gente poteva ancora andare – quasi normalmente – a Gorizia in ospedale o a scuola o a vendere i suoi prodotti al mercato. Furono dati due anni di tempo per optare per l’ Italia o per la Jugoslavia. Nel frattempo ognuno dei quattro vincitori aveva tracciato la sua frontiera e solo il 10/2/1947 a Parigi alla conferenza di pace passò la proposta francese che era quella di maggior compromesso. I sovietici la sottoscrissero solo in agosto, ma nel frattempo i francesi tracciavano già le linee bianche con il gesso… ”
Guardando le foto storiche della French line che con sommo disprezzo di vita e morte taglia a metà giardini, case, stalle e persino un cimitero, chiedo a Marinka come sia stato possibile che un piano così assurdo si sia realizzato. “La gente vedeva sì tutto questo, ma nessuno lo prendeva sul serio. Invece nella notte del 15 settembre è stato messo il filo spinato e la frontiera è stata chiusa al cento per cento. La linea francese aveva tanti sbagli, e lo sapevano, ma hanno deciso lo stesso di sottoscriverla come provvisoria, il guaio è che è rimasta provvisoria per ben 28 anni, fino al trattato di Osimo, nel 1975. Così, prese praticamente alla sprovvista, molte famiglie sono rimaste divise, tante ragazze che venivano a lavorare a Gorizia sono rimaste bloccate in Italia. E’ stato uno shock sia per gli italiani che per gli sloveni. Per sei lunghi anni i familiari che venivano qui sui due lati del piazzale non potevano incontrarsi, toccarsi, neanche parlarsi, solo si guardavano e si chiamavano per nome, nient’altro. Secondo me– lo dico con il senno di ora – venivano qui solo a farsi del male, era solo una sofferenza. Ecco, in questa foto si vede che hanno lasciato la stalla in Italia e la casa in Jugoslavia, la povera mucca non sapeva dove andare! Adesso si ride, ma quella volta era triste! Qui invece possiamo vedere la French line al cimitero di Miren, non faceva male solo ai vivi ma anche ai morti.”
La città sul prato
I primi militari venivano quasi tutti dalla Serbia e dal Montenegro, il loro corpo si chiamava KNOJ (Korpus Narodne Ombrambe Jugoslavije). Venne sciolto nel 1953 e sostituito da normali militari di leva provenienti da tutta la Jugoslavia. Il primo lasciapassare fu fatto per i contadini, poi nel 1954 per tutti i residenti della fascia confinaria entro 10 km, con regole via via meno rigide, prima si poteva passare solo una volta al mese, poi sempre più spesso…
Una bacheca è dedicata alla costruzione di Nova Gorica: “Quando nel 47 si è capito che Gorizia era persa per sempre, gli jugoslavi hanno deciso di costruire – dal nulla – un nuovo centro urbano cui potessero far riferimento i paesi del Collio, del Carso e delle valli dell’Isonzo e del Vipacco. Nella zona prescelta c’erano solo la stazione della Transalpina e alcune fornaci di mattoni. Già nel marzo del 48 è venuta una prima brigata di giovani a preparare il terreno e la prima pietra è stata messa in giugno. Questa epopea è stata raccontata nel film “La città sul prato” di Nadja Veluscek.”
La domenica delle scope
Ecco le foto della “domenica delle scope”, il 13 agosto 1950. Marinka spiega: “Allora di Nova Gorica esistevano solo sei case, non c’erano negozi, e grandi erano le difficoltà di approvvigionamento. Quando si è sparsa la voce (peraltro infondata) che sarebbe stato possibile rivedere i parenti in Italia, 5000 persone si sono affollate a Casa Rossa con carne, burro, uova; a un certo punto hanno perso la pazienza, hanno aperto le sbarre e sono andate oltre, senza che la polizia intervenisse. Era domenica e i negozi erano chiusi, ma dopo pranzo tutti i negozianti hanno aperto e comprato tutto quello che la gente aveva portato con sé nelle borse, e anche la nostra gente comprava, pensando che chissà quando sarebbero potuti tornare. Quando una donna ha comprato la prima scopa e se l’é messa sulle spalle ridendo, tutte le altre si sono dette “perché no”, le scope costavano poco e a Nova Gorica non ce n’erano, così tutti hanno comprato le scope… ma alla fine sono tornati tutti a casa, anche per il timore di qualche ritorsione sulla loro famiglia; comunque hanno punito solo i giovani, e solo con “lavori socialmente utili”, per esempio un mese a fare legna nei boschi!”
La star del museo
Una vera “star” del museo è la grande stella rossa tolta dal tetto della stazione, e che negli anni ha cambiato aspetto e colore più volte.
I suoi cambiamenti vanno pari passo con gli avvenimenti storici; la prima portava la falce e il martello, ma solo per un paio di mesi, finché Tito si è opposto a Stalin. Arrivando più vicino ai giorni nostri, vi è un’unica foto a testimoniare il salto della rete fatto da migliaia e migliaia di clandestini. E’ stata scattata da Marinka, dalla finestra del suo ufficio. “Ho visto passare gente che proveniva da ogni paese, dall’Europa orientale, ma anche dall’Africa e dall’Asia. Arrivavano qui a gruppi con il treno, e significava che nei loro paesi c’erano gravi problemi.”
La paura nelle ossa
Il pannello finale mostra le immagini della festa per l’entrata della Slovenia nell’Unione Europea del 2004. Marinka commenta: “Io la prima cosa che ho fatto è stato andare a trovare i miei dirimpettai dell’hotel Transalpina. Sono stata qui per 20 anni e non li avevo mai visti! Adesso siamo diventati amici e collaboriamo spesso. Ma il 20 dicembre 2007 è stato il vero giorno in cui è caduta la frontiera, qui è stato aperto fino alle 3 di notte e la gente era tanta che sembrava un pellegrinaggio, e stavano zitti, sa, sembrava qualcosa di religioso. Devo dire che questo è un museo che è condiviso anche dagli italiani perché è obbiettivo, molto obbiettivo, così erano i fatti; ogni cosa nuova che vi si aggiunge deve essere approvata da entrambi. Spero che possa insegnare a tutte e due le parti come è bello vivere senza frontiera. Qui la frontiera ha messo la paura nelle ossa della gente; io vedevo sempre negli occhi la paura e la commiserazione per noi slavi poveracci. Sapesse quanto male fa vedere queste cose negli occhi altrui che ti guardano; invece noi abbiamo vissuto bene, ci mancava solo un po’ di colore.” Eppure c’è ancora gente che ha paura di venire in Slovenia – e qui Marinka racconta briosamente di persone che ha visto arrivare timorose e circospette, “camminando come gatti”.
Riunire le città
Poi Marinka continua: “Ma niente è stabile, tutto cambia, mentre il museo sarà sempre qua e ci parlerà del dolore che causa la frontiera, ogni frontiera.. le frontiere dividono anche chi prima era amico, anzi fratello. Noi che pensavamo che la Jugoslavia fosse eterna, adesso abbiamo una frontiera assurda con i croati che sentivamo davvero come nostri fratelli. Oggi Nova Gorica a 60 anni dalla nascita dimostra di essere riuscita a svolgere il ruolo per cui era stata pensata. Gorizia è stanca, dorme, Nova Gorica le riporterà un po’ di vita. Bisogna cercare di unire la gente che viene a visitare questa piazza e anche di unire queste due città; sulla piazza, che da noi si chiama Europea e da voi Transalpina, si può camminare ma chissà perché non si può fare il giro tutto attorno con la macchina, ci sono delle fioriere che lo impediscono. E vorrei che desse un’occhiata al grande mosaico nel centro, fatto dalla scuola di Spilimbergo, che si richiama al cippo di confine che si trovava lì e portava il numero 5715. Nel mosaico sembra che il numero si sia sciolto. Sciolto, non esploso, come ha scritto più di qualche giornale… un’esplosione porta sempre con sé una violenza, che in questo caso non c’è stata affatto”.
Per finire, chiedo a Marinka un consiglio di un posto speciale di Nova Gorica. “La biblioteca France Bevk – mi dice – proprio sulla piazza centrale. Io, se non ci vado almeno una volta alla settimana, non sono contenta.”
© Antonietta Spizzo 2008 per “IL NUOVO”