Ripropongo un vecchio articolo tratto da “Andamento lento”, mi sembra utile di questi tempi…
Abbiamo sempre avuto, fin da piccoli, una grande passione per i cavalli, ma abitando in città non era certo facile realizzare il desiderio di avere un cavallo tutto nostro. Ma quando, nel 1991, ci siamo finalmente trasferiti in campagna, a Premariacco, in una grande casa contadina con tanto di stalla, allora sì che ci siamo portati a casa un bel cavallo, anzi due. E così finalmente i cavalli sono vicino a noi, e la mattina possiamo vederli dalla finestra della nostra camera. Sono là che ci aspettano e ci chiamano con quel loro “frrr…” tutto speciale che non ha nome in nessuna delle lingue che conosciamo.
La nostra casa, scelta con tanta attenzione, si trova proprio sul finire del paese, e la cosa più bella è che appena fuori dal portone incominciano i campi e l’occhio spazia libero verso Ovest e verso Nord e trova a fermarlo solo le montagne. Tutto questo territorio intorno a noi si è salvato miracolosamente dai riordini fondiari mantenendo intatta una fisionomia che si era creata in secoli di lavoro dei nostri antenati.
Campi di mais, di orzo, di soia, di erba medica (Premariacco era famoso in tutta Italia per le sementi di medica) si alternano a siepi coltivate e spontanee e ai superstiti filari di gelsi. E noi, appena fuori dal portone, montiamo in sella e possiamo illuderci di essere lontanissimi dal traffico e dalla vita frenetica della nostra civiltà: prendiamo la via dei campi dietro casa e partiamo alla scoperta della natura tutto attorno.
Il cavallo, che è lui stesso prima di tutto natura, divide con noi, per tutto il tempo che ci fa compagnia, le sue emozioni, e ci presta una parte della sua capacità di percepire i suoni, gli odori, i minimi movimenti come una lepre che scappa via tra i solchi, un capriolo che d’inverno è sceso in pianura alla ricerca di cibo, un fagiano che vola via all’ultimo momento tra le sue gambe.
Quando avevamo i cavalli da poco, anche un piccolo percorso costituiva una grande avventura.
Abbiamo cominciato pian pianino a esplorare il territorio intorno a casa, a raggiera, cioè procedendo verso i vari punti cardinali e guadagnando ogni giorno un po’ di distanza in più. All’inizio già il bar di Orzano ( 4 km da casa ! ) sembrava un grande traguardo; Moimacco invece ci era precluso perché avevamo paura di attraversare la statale Udine-Cividale; il guado del Natisone era sempre un momento di panico; qualunque trattore nei campi, per non parlare delle mostruose mietitrebbia, ci metteva in ansia; e i nostri due cavalli furbacchioni naturalmente ne approfittavano per fare qualche scappatella, ben sentendo la nostra incertezza. Ricordo ancora il primo incontro ravvicinato con la sfrecciante littorina della linea ferroviaria Udine – Cividale, quando il “mostro” ci è arrivato di fronte e i due cavalli istantaneamente hanno fatto dietro-front e si sono messi a galoppare nella direzione opposta. Piccoli episodi, che ora ci fanno sorridere, ma che all’epoca avevano il sapore di grandi prove di coraggio !
Era l’estate del 1992 e faceva caldissimo: ogni mattina ci alzavamo un po’ più presto per stare via un po’ di più. Una volta per sbaglio la sveglia è suonata alle quattro anziché alle cinque e mentre trottavamo sulle stradine bianche del riordino fondiario eravamo un po’ preoccupati per quell’improvviso tardare dell’alba…
Da quelle prime avventure sono passati dieci anni ma l’emozione non si è dissolta ed è sempre quella della prima volta. Traversiamo ancora gli stessi campi e gli stessi prati scoprendo sempre qualcosa di nuovo.
Così lentamente, giorno dopo giorno, abbiamo imparato insieme ai nostri cavalli a misurarci su percorsi sempre più lunghi e ad affrontare avventure sempre più impegnative. Era la nostra sfida: unire la passione per i cavalli a quella per il viaggio, e riuscire a realizzare il nostro sogno di viaggiare a cavallo in perfetta autonomia. Da allora le nostre esplorazioni a raggiera ci hanno portato per migliaia di chilometri in varie parti d’Europa , ma nonostante ciò non vi è niente di più bello che uscire in sella dal portone di casa e partire alla scoperta di quei microcosmi di cui la nostra regione è così ricca. Con questi itinerari vogliamo incoraggiare tutti i lettori, e non solo coloro che vanno a cavallo, a prendere coraggio e a muoversi da casa con un mezzo lento, muniti solo di nuovi occhi, e le meraviglie nascoste in Friuli non tarderanno ad affollarsi intorno a loro.
La crôs dal Sclâf
Sono passati dieci anni dalla prima volta che siamo usciti a cavallo dal portone della nostra casa di Premariacco, ma l’emozione non si è dissolta ed è sempre quella della prima volta. Traversiamo ancora gli stessi campi e gli stessi prati scoprendo sempre qualcosa di nuovo. D’estate usciamo all’alba oppure alla sera, quando è già scuro. Ma la stagione più bella è l’inverno, quando tutti si rinchiudono in casa per paura del freddo e la campagna non coltivata si può attraversare in lungo e in largo. E’ la stagione in cui l’orizzonte non viene chiuso dal mais, attorno a noi si levano le montagne delle Prealpi bianche di neve e Castelmonte brilla nell’ultima luce del tramonto come una stella.
Solo d’inverno le sagome degli alberi svestiti dalle foglie rivelano la loro filigrana di rami contro il cielo e si possono vedere nei campi gli aironi grigi o addirittura le cicogne. E l’inverno ci ha permesso di scoprire la vera storia di un luogo misterioso che sulle carte topografiche è chiamato “Crôs da la Clâf” ma che la gente del posto chiama “Crôs dal Sclâf”.
Nel bel mezzo della campagna, tra Premariacco e Moimacco, si vede da lontano una strana collinetta, un monticello di terra con in cima una croce. E’ segnalata da quattro cipressi e un arbusto di ginepro. Quando ci si avvicina ci si accorge che è come un piccolo porto (insenatura) nel mare dei campi e che invita a un momento di riposo. Da un lato, sotto una giovane quercia, ci sono una tavola formata da due lastre di pietra, con le panche, pure di pietra, tutto attorno. Sulla collinetta crescono gli iris. Allora di solito ci fermiamo e lasciamo che i cavalli mangino un po’ d’erba, ma non smontiamo di sella.
Ma in una giornata d’inverno ci accorgiamo, per caso, che sotto l’erba secca, a metà collinetta, è nascosta una lastra di pietra, forse una lapide. Allora scendiamo, scostiamo i ciuffi d’erba e cerchiamo di decifrare le lettere ormai scolorite, che bisogna leggere più con le dita che con gli occhi. In quattro righe la pietra ci racconta la storia di un carrettiere della “Sclavanie” che in un tempo lontano – e imprecisato – in una notte scura di temporale, stava percorrendo la strada per Udine con il suo carro tirato da due buoi. Gli animali, imbizzarritisi per paura dei fulmini, avrebbero fatto ribaltare il carro e l’uomo sarebbe morto proprio qui. La Crôs dal Sclâf, allora, acquista subito un nuovo significato. Ma nessuno si ricorda più di questa storia, che non è scritta da nessuna altra parte…
“Questa croce è stata eretta in memoria di un uomo oriundo slavo che nei tempi remoti transitava con un carro di legna trainato da buoi i quali imbizzarriti per una violenta bufera qui travolsero il conducente”.