A colloquio con Gianpaolo Chendi, che nella sua azienda agricola a Terzo di Aquileia coltiva l’antico mais Biancoperla friulano e conserva e riproduce sementi di altre varietà quasi scomparse.
©Antonietta Spizzo 2006 per “IL NUOVO”.
Blave, sortùrc, granoturco, mais: che cos’era e che cos’è oggi? Una pianta che per secoli ha rappresentato in Friuli la sopravvivenza, oggi serve solo per produrre mangime per animali e si comincia a parlare di usarla come combustibile. Ci siamo bene o male assuefatti, come se non avessero più alcun rapporto diretto con noi, alle grandi distese di monocoltura a mais che hanno rovinato il paesaggio della pianura friulana, e nessuno conosce più i nomi delle antiche varietà soppiantate dalle sementi ibride dai nomi strani, monopolio delle grandi multinazionali.
E’ per questo che facciamo visita a Gianpaolo Chendi, a Terzo d’Aquileia, uno dei “custodi dei semi” friulani che da una decina di anni si dedica con passione alla conservazione e alla coltivazione di alcune antiche varietà di cereali.
Sorridente e disponibile, Chendi soddisfa senza farsi pregare le nostre curiosità: “Sono nato in una famiglia contadina, e adesso che sono in pensione, dopo una vita passata a fare tutt’altro mestiere, posso definirmi di nuovo un – piccolo – contadino.
Ma già nel 97, prima della pensione, ho cominciato a coltivare i miei tre campi, ne ho preso in affitto un quarto, ho comperato un trattore e da subito mi sono iscritto alla Associazione Produttori Biologici. Ben presto però essere semplicemente un contadino biologico non mi soddisfaceva più, e allora mi sono messo alla ricerca delle vecchie sementi friulane.
Una lunga ricerca
Non è stato molto difficile perché ci sono ancora qua e là dei vecchi contadini che continuano a usarle, quello che è difficile è sapere che cosa stai seminando esattamente. Io volevo saperne di più, e in particolare cercavo il mais Biancoperla: dovete sapere che una volta qui da noi tutti usavano il Biancoperla per mangiare, mentre il mais giallo veniva dato agli animali. Allora mi sono messo in contatto con l’Ersa, ma senza successo, finché ho capito dove si doveva cercare: negli Istituti di ricerca, le cui Banche del Germoplasma sono strapiene di sementi di vecchie varietà che attendono solo che qualcuno si impegni a riprodurle!
Per la pianura padana ci sono tre punti di riferimento: l’Istituto “Morando Bolognini” a S. Angelo Lodigiano, l’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “Strampelli” di Lonigo in provincia di Vicenza, e l’Istituto Sperimentale di Agraria di Bergamo.Se ci si rivolge a loro, sono ben felici di darti gratuitamente una piccola quantità di sementi, due etti, tre etti, giusto per incominciare, in modo che tu ti faccia da solo la semente per l’anno dopo, e questa secondo me è una bella cosa. E’ così che l’Istituto Strampelli di Lonigo cinque anni fa mi ha mandato tre etti di semente di mais Biancoperla di origine friulana, io l’ho riprodotto e da quella volta continuo a coltivarlo a rotazione nei miei campi.”
La polenta della memoria
Quali sono le caratteristiche del Biancoperla? “E’ una pianta alta fino a 4 metri, le pannocchie sono affusolate, allungate, con grandi chicchi bianco perlacei e brillanti, vitrei. Contengono 8 file di chicchi contro le 10-12 delle varietà ibride attuali. Il tutolo è bianco.
I tipi di mais vitreo sono tra i più adatti all’alimentazione umana, sono più sostanziosi e ricchi di grassi. Eppure negli anni Cinquanta le varietà ibride, più produttive, hanno soppiantato la coltivazione delle varietà a impollinazione libera come il Biancoperla, dalle rese più basse.
Gli ibridi vengono grandi, vengono belli, resistono di più – forse – alle malattie, ma non hanno lo stesso sapore delle varietà antiche, non c’è proprio confronto. La polenta di Biancoperla, fine, delicata e saporita, di colore bianchissimo, è insuperabile come abbinamento per i piatti di pesce povero di fiume e di laguna, come il boreto a la graisana, la zuppa di pesce tipica di Grado. La polenta bianca ha un sapore meno forte di quella gialla e esalta il sapore del pesce.”
Oltre alle consuete procedure biologiche, usi qualche accorgimento particolare? “Zappiamo tutto a mano – chist’ an un mês di sapa – e da quest’anno faremo anche la semina manuale. Una volta raccolto, il mais non viene sgranato subito ma lasciato ad essiccare in gabbioni di rete all’aperto fino a fine dicembre: questo è importante perché il tutolo continua a trasmettere la sostanza ai chicchi. Poi viene sgranato con cura e macinato a pietra al mulino Zoratto della famiglia Di Bert a Codroipo, certificato per l’agricoltura biologica. Due anni fa al Salone del gusto di Torino abbiamo chiesto di diventare un presidio Slowfood come conservatori del mais Biancoperla friulano macinato a pietra.”
Quali altre varietà antiche coltivi oltre al Biancoperla? “Posso dire che coltivo “per mio diletto” il Crno rumeno, che viene dalla Slovenia ma che si trovava anche nel Medio Friuli, un Bianco senza nome, datomi da un contadino, il Dente di cavallo, un tipo di Cinquantino e una vecchia selezione del Rosso di Aquileia, un esperimento fatto dall’Ersa 40 anni fa. A differenza del Biancoperla, che vendo, di queste varietà sono soltanto un Seed Saver, cioè le coltivo per riprodurne i semi e perché le piante mantengano una loro esperienza genetica.”
I custodi dei semi
I Seed savers sono una rete di “custodi di semi” che fa capo a “Civiltà contadina – Associazione nazionale per la salvaguardia del mondo rurale”. Il termine inglese indica la persona che “salva” del seme dal raccolto per poi riseminarlo nella stagione successiva, una prassi del tutto consueta, una volta. Tutti gli agricoltori lo facevano. Oggi questa parola identifica invece i volontari che svolgono opera di salvaguardia genetica per salvare i semi di varietà e specie minacciate di estinzione. Il movimento è nato negli USA negli anni Settanta e poi si è diffuso ovunque, soprattutto dopo l’imposizione dei cataloghi ufficiali delle sementi ammesse alla vendita commerciale. Il catalogo della Comunità Europea risale al 30 giugno 1980: furono cancellate oltre 1000 varietà vegetali, varietà non ibride, senza proprietario, che rappresentavano la parte più povera del mercato e che rendevano ben poco ai commercianti.
“Il problema delle sementi – continua Chendi – è che se tu metti giù quella roba lì praticamente sei fuorilegge, devi avere sementi brevettate, tutto il mercato è in mano alle multinazionali e la biodiversità va a farsi benedire. In Friuli noi seed saver siamo circa una dozzina e ci dedichiamo soprattutto a conservare i semi dei cereali e delle piante orticole.
Regalare queste sementi antiche a chi ha piacere di averle mi dà una grande soddisfazione. Il mio unico problema è che ho poco spazio a disposizione per così tante varietà diverse. Ho dovuto mettere il mais bianco tra quello rosso, ma comunque le piante non si sono “imbastardite” perché all’Ersa mi hanno insegnato come fare per riprodurre specie differenti molto ravvicinate in un piccolo appezzamento. Si tratta di effettuare una semina differenziata, che gioca sui tempi di impollinazione, e poi una impollinazione manuale con la procedura dell’incappucciamento.”
Farina di pira
Oltre al mais che cos’altro coltivi? “Ho un ettaro di terreno qui a Terzo, di cui lascio metà a prato stabile con sfalcio annuale. Si tratta di una selezione con 12 varietà di semi per il prato che mi è stata data dal Dipartimento di Agraria dell’Università di Udine. E’ difficile, sapete, fare i prati stabili nella Bassa. L’altra metà del terreno la coltivo a farro, e precisamente la vecchia varietà Dalle Rene di Pisa. Molti contadini friulani adesso non sanno nemmeno che cos’è il farro, ma io ho documenti, come questo libro dell’Azienda Agricola di Strassoldo del 1854, che testimoniano come venisse coltivato anche qui da noi con il nome di pira o pirra, pire in friulano.” Chendi si alza e va a prendere alcuni eleganti cartocci di carta marrone con delle belle etichette colorate. “Ecco, una delle mie passioni è anche il recupero della toponomastica e dei nomi antichi, e così sulla mia farina di farro sta scritto “Farina di pira” e poi “Farro integrale – Triticum dicoccum”. C’è una grande soddisfazione nel fare queste cose.”
Sull’etichetta vediamo anche una falciatrice a cavalli. Chendi al nostro sguardo interrogativo risponde sorridendo: “Sì, abbiamo lavorato la terra con i cavalli di Diego e Monique Verzegnassi di Papariano. Non si tratta di folklore, vogliamo fare una agricoltura umanistica in cui si reintroduce la manualità, la fatica e anche il lavoro con gli animali, ovviamente nel loro assoluto rispetto. Lavorando così siamo più calmi e c’è più silenzio. Abbiamo legato i fasci a mano e anche la semina è stata manuale, ottenendo ottimi risultati. La nostra esperienza e quella degli amici di Aiello, che hanno poi devoluto il ricavato dalla vendita della farina a Emergency, ha dimostrato che un’agricoltura diversa è praticabile e che con il risparmio sulle macchine e sui prodotti chimici diventa persino remunerativa economicamente. Bisogna solo fermarsi un momento a ragionare su quello che si può fare di diverso, fermasi a cjalâ, pensâ. Quello che abbiamo oggi non è progresso, è solo sviluppo. Noi cerchiamo di avere una concezione della vita che vada contro i modelli dominanti. Quante cose ad esempio si riuscivano a fare un tempo con i cartocci, lis scussis das panolis! Oggi le amiche di Civiltà Contadina, anche per divertirsi, fanno splendide sporte, morbide e resistenti: è ora di finirla con i sacchetti di plastica!”