Una volta curato e bello come un giardino, il famoso castagneto di Peonis è ora deperito e abbandonato a se stesso, ma ancora produce quattro varietà di castagne.
Chi pensa alle castagne, in questo autunno dorato, pensa certamente alle Valli del Natisone, a Montenars, a Faedis, tutti luoghi in cui questo frutto un tempo così importante per la sopravvivenza è ancora un discreto protagonista, sia pure solo di feste e sagre. Ben difficilmente il suo pensiero andrà alle castagne di Peonis, piccola frazione di Trasaghis, situata di là da l’aghe ai piedi del monte Covria. Eppure si racconta che alla fine dell’Ottocento si potesse andare dalla valle del lago di Cavazzo fino a Verzegnis costantemente all’ombra di castagni da frutto (Castanea sativa). Così per questa nuova puntata di biodiversità perduta ho voluto andare a cercare che cosa è restato di queste piante e se ancora questo frutto vive là nella memoria collettiva. Facendo una ricerca su Internet con le parole chiave “Castagne” e “Peonis” si scopre l’esistenza della Festa della Madonna della Salute, organizzata dal gruppo di volontariato locale “Chei di Peonis”.
Bati lis cjastinis
Per saperne di più telefono al comune di Trasaghis e apprendo così che il principale animatore del gruppo è il sindaco Ivo Del Negro, che abita appunto nel piccolo paese. Del Negro mi concede prontamente un colloquio che mi chiarisce un po’ le idee:
“Le castagne sono tipiche della nostra zona, tanto è vero che poco a nord dell’abitato di Peonis troviamo il toponimo Cjastenêt, dove si trovano appunto la maggior parte degli alberi di castagno. Altri alberi si trovano nella zona chiamata Cuel alle spalle del campanile e più giù fino agli stavoli dai Stiefins, nella zona che chiamiamo Negâr. Una volta ce n’erano anche nella zona di Cjanêt a quasi 600 m di altezza. Erano tutti castagni innestati, di più varietà: ricordo in particolare le castagne con la buccia chiara, con una forma quasi quadrata, dei “bauletti” talmente grossi che quasi la buccia scoppiava. Ogni famiglia possedeva almeno sei o sette castagni. La tradizione era quella di lâ a bati lis cjastinis: si partiva con la scala e la pertica, e si battevano giù le castagne con tutto il riccio, poi si raccoglievano, si portavano a casa nella gerla e si conservavano nella stalla o sul toglât. Le castagne nel riccio duravano molto di più, anche fino a febbraio.
Negli anni duri, come quelli della guerra, le donne partivano da Peonis con una barelute, un carrettino spinto a mano, e scendevano quasi fino al mare (mia nonna mi raccontava che andava fino alla Salute di Livenza) per vendere le castagne, o meglio per scambiarle: per ogni quintale di castagne ricevevano un quintale di frumento o di granoturco, quindi era una merce abbastanza pregiata. Quando i bambini arrivavano a casa trovavano sempre delle castagne pronte, erano importantissime per l’alimentazione, venivano chiamate il pane dei poveri.”
Sopravvissuti al cancro
Come stanno ora questi alberi, dato che nel secondo dopoguerra il fungo (Endothia parasitica) che causa il cancro corticale ha colpito quasi tutte le piante della nostra regione? “La malattia si è diffusa qui da noi in tutta la sua virulenza alla fine degli anni 50: sembrava che dovessero morire tutti i castagni ma molte piante sono riuscite a resistere, e alla fine si sono riprese, anche se solo parzialmente.
Di piante centenarie ce ne sono ancora parecchie. Però già nei primi anni 50 l’importanza economica delle castagne è finita, l’agricoltura tradizionale è stata sostituita dal lavoro in fabbrica, soprattutto nella zona industriale di Osoppo.”
Da una decina di anni ha ripreso nuovo vigore l’antica festa della Madonna della Salute che, come racconta il sindaco, celebrava il ritorno degli emigranti dall’estero, la fine della raccolta delle castagne e la discesa delle mucche dall’alpeggio. Infatti a Peonis aveva luogo una seconda transumanza: gli animali tornati giù alla Madonna di Settembre (8/9) dall’alpeggio estivo nelle malghe della Carnia, venivano portati fino al 20 novembre, giorno appunto della Madonna della Salute, negli stavoli che tutte le famiglie avevano sotto il Covria in località Cjanêt oppure in Mont di Prât, dove venivano accuditi da una o due persone di famiglia.
Dice ancora Del Negro: “Me lo ricordo bene, io che ero bambino alla fine degli anni 50, che ogni giorno dopo la scuola andavo su in Ledranie dove c’era mia nonna, e che tornavo giù ogni mattina. Un’ora, un’ora e mezza di cammino per arrivare fin lassù. I genitori al lavoro nei campi per raccogliere uva e granoturco, nonni e nipoti in mont: era un modo per non portare a valle tutto il fieno necessario per l’inverno. E poi mi ricordo che durante la notte dei Santi gli scampanottatori suonavano per ore e ore, dalle sette di sera fino a notte fonda, suonavano tutte le campane a morto, e si portava loro vino e castagne bollite.”
Guadare e barattare
Lascio il Municipio carica di bellissimi libri di storia locale e in pochi minuti su un’ottima strada arrivo a Peonis. Un grande cartello di legno lo presenta come “il paese delle castagne e del miele”. La prima cosa che salta all’occhio è che, pur nel mantenimento della sua antica struttura con le viuzze strette e tortuose, è stato completamente ricostruito dopo il terremoto, e il cemento la fa ovunque da padrone.
Ci abitano ben 350 persone, ma le case sembrano deserte, le vie silenziose, non c’è nemmeno un bar dove bersi un caffè e scambiare quattro chiacchiere con la gente. Per fortuna è ancora aperto un negozietto di alimentari gestito da Francesca Danelutti, nata a Peonis ma ora residente a Osoppo. “Le castagne erano importantissime come merce di scambio – mi dice – mia nonna andava a barattare le castagne a Osoppo con generi di prima necessità, come le sementi o il frumento. In soffitta conservo decine e decine di ricevute che attestano questi scambi.”
La raccolta cominciava verso il 10-15 ottobre e durava circa 2 settimane, ai Santi le castagne erano tutte raccolte. Si preparavano arrostite (bueriis) oppure si sbucciavano e si mettevano a bollire nell’acqua con sale e l’alloro (moncjs). Quelle piccole si facevano addirittura bollire con tutta la buccia (balotis).
Francesca mi mostra orgogliosamente la bella foto antica del traghetto che collegava Peonis con Osoppo fino alla costruzione del ponte di Braulins nel 1915. “Fino ad allora i traghetti erano tre: quello tra Osoppo e Peonis, il più importante, quello tra Gemona e Braulins e quello tra Bordano e l’Osteria del Lisk a 2 km da Venzone. Ma le donne non avevano soldi per la barca e allora dovevano alzare le gonne per passare il fiume a guado, il che ha dato origine a varie battute scherzose ma assai maschiliste sulle gambe più o meno diritte delle donne di Peonis, e anch’io, sposandomi a Osoppo, ne sono stata oggetto.”
Luigina e il castagneto
Prima di andare nel Cjastenêt vagabondo un po’ per i sentierini lastricati alle spalle del paese, con i ruderi di antichi stavoli e stalle, i ponticelli, i muretti, le canalizzazioni dell’acqua in pietra, segni inequivocabili di una civiltà contadina e montanara ben radicata e convinta di trarre il massimo dal posto in cui è sorta. Del resto il clima di Peonis è particolare: qui il Tagliamento forma un’ansa che protegge il paese riparandolo dal vento. Qui a detta di tutti c’è meno freddo e meno neve che nei paesi vicini, il terreno argilloso è adatto ai castagni e agli alberi da frutto in generale, e infatti tradizionalmente si coltivava anche tanta uva (l’americana, il bacò, ma anche il merlot e la cjanorie), e poi ciliegie, mele, prugne e fichi.
Nel castagneto incontro Luigina Zuliani, che insieme al marito Enrico Rumiz è titolare dal 1980 di un’azienda agricola specializzata in apicoltura. Per Luigina questi boschi sono qualcosa di più che un bel posto in cui passeggiare, rappresentano il sostentamento delle sue api, e la loro salute le sta molto a cuore: infatti oltre al miele di tarassaco, di acacia, di tiglio-lampone e di millefiori, la varietà più caratteristica e pregiata è il miele di tiglio e castagno, dal colore scuro e dall’inconfondibile sapore amarognolo.
Quattro varietà
“Le castagne di Peonis erano famose perché ce n’erano tante. Vieni con me che ti mostro quanti tipi ci sono!” Luigina è una donna aperta e dinamica, che ispira subito simpatia e confidenza. “Ecco – mi dice parlandomi in friulano – ce ne sono di quattro tipi: chês di Ruvigne, le prime e non le migliori perché non duravano tanto; chês di Crustòn, con la buccia chiara, che hanno sempre tre castagne in un riccio; i morons, grandi, con la buccia scura, e lis Rancjadicis, grandi come i marroni e un po’ pelose sulla punta. Poi ci sono anche quelle mezze selvatiche che hanno una puntina bianca, sono le più saporite e per fare le caldarroste sono le migliori. Ma ormai il castagneto è stato abbandonato a sé stesso: prima ogni castagno aveva un padrone che lo curava, tu dovresti immaginarlo com’era una volta, come un giardino, anzi come un parco, tutto perfettamente pulito e falciato, con grandi alberi isolati e ben tenuti. Io sono convinta che il cancro è stato peggiorato anche dall’abbandono e dall’esodo della gente di montagna: i castagneti non sono stati più curati, i parassiti si sono diffusi e gli alberi sono deperiti. Adesso qua e là è stato piantato qualche castagno giovane, ma non credo che le cose cambieranno, e il castagneto rimarrà solo come “pascolo” per le mie api.”
©Antonietta Spizzo 2006 per “IL NUOVO”.