©Antonietta Spizzo 2020 per “TIERE FURLANE”
I lettori affezionati di Tiere furlane hanno già fatto conoscenza con il sarasin (n.29), l’uardi culinot (n.28), la blave cincuantine (n.12), il sorgo (n.26) e ne sanno ormai vita, morte e miracoli. Del frumento però finora non abbiamo mai parlato e forse, accerchiati come siamo dal grande mare ondeggiante della blave, abbiamo perso ogni speranza di trovare un discreto assortimento di grano duro e tenero prodotto da una azienda friulana, e quindi a km zero o giù di lì. Per non parlare poi della pasta a km zero, estintisi ormai i gloriosi pastifici Mulinaris e Storti di Udine, Quadruvium di Codroipo (TFn.3), Barborini & Pignoni di Cortale, Tomadini di Pordenone, eccetera. Eppure, eppure…nelle recondite pieghe della pianura friulana a ben cercare si trovano delle inaspettate filiere corte e cortissime che possono soddisfare proprio tutte le esigenze, quelle di prodotti sani e biologici, ovviamente, ma anche molto altro.
Ma cominciamo da vicino e da lontano. Vicino nello spazio, Reana del Rojale, lontano nel tempo, il 1912.
Nel Rojale
In quell’anno infatti viene pubblicata la Guida delle Prealpi Giulie di Olinto Marinelli, un vero scrigno di utili e curiose notizie sul passato. Nel capitolo “Tricesimo e dintorni”, dopo averci resi edotti che nell’ameno paesello di Reana vi sono “osterie con birra (!) in tutte le frazioni”, la guida ci informa che trattasi di “luogo saluberrimo, provvisto di abbondante acqua potabile.Le rogge danno forza motrice a otto mulini. Buona parte della popolazione è dedita all’agricoltura.” In questa zona “collinesca” la produzione media di granoturco si aggirava sui 27 quintali per ettaro e quella del frumento sui 17 quintali, cifre ritenute relativamente elevate. Le varietà di frumento più diffuse erano Nostrana, Cologna, Noè, Rieti. Tra le colture secondarie vengono menzionate la saggina (sorgo), il mais cinquantino, la segala e il grano saraceno.
Ora, con questi punti di riferimento, immaginiamo un’azienda agricola di tipo tradizionale proprio nel centro del “paesello”, con tutto il suo bel contorno di campi, stalla, polli e maiali. L’azienda passa di padre in figlio, viene gestita con lungimiranza, già alla fine degli anni Ottanta pratica la lotta integrata e il diserbo meccanico e diversifica la sua produzione: non solo blave, ma anche tanti altri cereali, che comunque vende ai centri di raccolta e non trasforma in loco. Ma è all’inizio del nuovo millennio che l’azienda agricola Nadalutti, 18 ettari, conosce una vera e propria svolta, convertendosi definitivamente al biologico. Il suo titolare attuale, Renzo, classe 1972, decide di seguire una sua strada che dalla produzione porti anche alla lavorazione dei prodotti e alla loro vendita diretta in azienda, una filiera corta insomma. “Solo con la produzione primaria non stai in piedi!” – riassume Renzo brevemente. Così inizia un lungo percorso costellato da molti ostacoli burocratici, dovuti anche al fatto che siamo nel 2000, e il Decreto del Presidente della Regione 1.09.2015, n.0179, che liberalizza la produzione di piccole quantità di prodotti locali, e quindi anche di farine, è ancora di là da venire: Renzo all’epoca è assoggettato alle stesse regole di un grande produttore industriale. Cose che capitano ai precursori: partendo dopo avrebbe speso molto di meno!
Burocrazia e attrezzature
La prima cosa indispensabile è acquistare un proprio mulino, per non dover macinare da altri e avere la certezza “di portare a casa la propria roba”. Ma per macinare in proprio è necessaria una licenza di macinazione rilasciata dalla Camera di Commercio, ed è la prima licenza che viene rilasciata in Friuli dopo 40 anni! Non è necessario elencare qui i numerosi paradossi della burocrazia anche dal punto di vista fiscale, ad esempio quello che la farina era considerata un prodotto industriale e non agricolo. Commento sintetico di Renzo: “Se uno non è molto determinato lascia perdere tutto.”
Ma non basta: prima di macinare è essenziale pulire bene le sementi da tutte le impurità fisiche e biologiche, come terra, sassi, polvere, acari. Insomma, ci vuole una linea completa di attrezzature per la pulizia, la decorticazione e la molitura, e all’epoca alcuni macchinari Renzo ha dovuto costruirseli da sé.
Attualmente i mulini a pietra dell’azienda sono due, dei quali uno viene usato esclusivamente per i cereali senza glutine. La caratteristica principale è che sono a bassi giri e non scaldano le farine; vengono macinate solo piccole quantità, volta per volta, 1,5-2 quintali al massimo, in modo che il prodotto sia sempre fresco e non si ossidi, mantenendo così integro il suo valore nutrizionale. La farina macinata a pietra è meno raffinata rispetto a quella che siamo abituati ad acquistare al supermercato.
I prodotti
Ma veniamo ora ai prodotti. “La cosa fondamentale – dice Renzo concedendoci questa lunga intervista nella sua calda cucina, assieme alla moglie Barbara – è l’autoproduzione delle sementi, è da qui che comincia la filiera corta.” E l’elenco delle sementi è lunghissimo: grano tenero e grano duro di diverse varietà, farro, orzo, miglio, mais ovviamente, e ancora grano saraceno, segale e sorgo. E leguminose come il pisello proteico e la soia che sono necessari per la rotazione, mentre diversi sovesci intercalari portano l’indispensabile sostanza organica, oltre che una buona quota di elementi fertilizzanti. Ma andiamo con ordine. Quale è la coltura più importante per Renzo? Non ottengo una risposta precisa, è come chiedere a un padre quale figlio preferisce. Insistendo un po’ apprendo che forse al primo posto stanno il frumento e il farro spelta. La proporzione dei cereali coltivati dipende ovviamente anche dalle condizioni climatiche che si verificano anno per anno e che, se sono avverse, possono addirittura impedire di effettuare certe colture. Quando cominciamo a parlare del frumento, Renzo Nadalutti introduce un concetto importante, quello dei cosiddetti “grani antichi”.
I frumenti: molti “antichi” e qualche moderno
L’azienda è specializzata nella coltivazione delle vecchie varietà di grano duro, prima fra tutte quella chiamata “Senatore Cappelli”, selezionata all’inizio del Novecento dal genetista Nazareno Strampelli (1866-1942). E’ una selezione della varietà nordafricana Jeanh Rhetifah ed era largamente coltivata in Italia fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando fu soppiantata da altre cultivar di maggior produttività. Basti pensare che il grano Cappelli ha una resa di 10-15 quintali per ettaro, quindi grosso modo come al tempo del Marinelli, mentre le varietà “moderne” arrivano a 80-90 quintali per ettaro (in agricoltura convenzionale). E, a proposito, la varietà “Rieti” citata dal Marinelli è proprio quella da cui lo Strampelli è partito per il suo lavoro di selezione. Con questa farina si può realizzare un ottimo pane a lievitazione naturale, ma si tratta di un prodotto versatile e adatto anche a molte altre ricette.
Renzo coltiva anche il grano duro chiamato Khorasan, all’anagrafe scientifica Triticum turgidum turanicum, che lui commercializza con il nome di “Grano dei Faraoni”. E’ molto proteico e particolarmente adatto a fare la pasta. E’ molto simile al Kamut ® tanto di moda oggi, che, ricordiamolo, non è una varietà di grano ma un marchio registrato, tanto è vero che accanto al nome troviamo una R cerchiata.
Per quel che riguarda il grano tenero (Triticum aestivum aestivum), abbiamo sia grani moderni (Lukullus, Aiace, Pannonicus) che vecchie varietà: Gentil Rosso, Frassineto, Abbondanza, Autonomia A, Verna, Piave, Canova. Questi grani erano tutti coltivati diffusamente fino agli anni Cinquanta del secolo scorso e si adattano alla coltura biologica perché non erano stati selezionati per produzioni “spinte”. Il successo dui cui godono tra i consumatori “avvertiti” è dovuto alle buone caratteristiche organolettiche dei prodotti che ne derivano e alle loro superiori virtù nutrizionali.
Si può discutere certamente se sia corretto oppure no chiamare “antiche” queste varietà. Infatti, antiche rispetto a quando? Che multiplo di dieci vogliamo prendere come metro, 100 oppure 10.000 anni? Se vogliamo risalire agli albori dell’agricoltura e alla conseguente domesticazione delle piante selvatiche, allora tutti i cereali sono stati “geneticamente modificati”, perché sono stati senza sosta selezionati dall’uomo per adattarli alle sue esigenze. Se parliamo invece del secolo scorso, i grandi mutamenti sono avvenuti negli anni Cinquanta, con l’avvento dei fertilizzanti chimici e la spinta verso produzioni sempre maggiori. In questo secondo caso a buon diritto possiamo definire “antichi” quei cereali che non hanno subito selezioni recenti. E se per il grano, duro o tenero, bisogna fare delle distinzioni, c’è un cereale che davvero ci perviene quasi intatto dall’antichità: il farro.
Di farro (pire in friulano) Nadalutti coltiva tutte e tre le specie: quello piccolo (monococco, Triticum monococcum), quello medio (dicocco, Triticum turgidum dicoccum) e quello grande, chiamato anche spelta (Triticum aestivum spelta), la cui farina è adattissima per fare pane e dolci. La spelta da sola occupa un 80% di tutta la sua produzione di farro. Con la farina di farro spelta si ottiene un ottimo pane, che risulta molto digeribile ed è adatto anche a chi presenta intolleranze nei confronti delle farine di frumento, anche se, attenzione, anche il farro contiene glutine e quindi i celiaci lo devono evitare. Il tritello di farro è un’altra produzione aziendale. Per un viaggio molto indietro nel tempo si può provare a fare una polenta (piuttosto liquida) di solo farro, ispirandosi agli antichi Romani: ai loro tempi non c’era ancora il mais, ovviamente!
Il mais: va da sé che le varietà coltivate da Renzo sono quelle vecchie, dette “vitree” perché hanno una frattura vitrea, e sono le più adatte all’alimentazione umana. Queste varietà sono state recuperate dai contadini della zona, assomigliano al Marano e al Cinquantino, e hanno un bellissimo colore aranciato, rosso scuro o addirittura porpora.
“Non sono varietà molto produttive, danno al massimo 30-40 quintali per ettaro contro i 150 q di quelle moderne (in agricoltura convenzionale); quello che dà soddisfazione è riuscire a trasformarle in azienda in una buona farina, colorata, profumata e gustosa.Dietro c’è un grande lavoro di pulizia tutto fatto a mano, pannocchia per pannocchia, togliendo ogni granello rovinato. Basta una pannocchia visitata dalla piralide (un lepidottero, la cui larva apre la strada ai funghi che producono le micotossine) che tutto il lavoro si vanifica!”.
L’orzo (Hordeum vulgare) è un cereale che, a differenza del frumento, presenta il chicco avvolto in glumelle e che, se usato per l’alimentazione umana, necessita di un trattamento preliminare, la pilatura. Vi è però un’eccezione: l’orzo mondo, detto anche “nudo”(perchè privo di glumelle), è un’antica varietà che era caduta in disuso. Di grande pregio dal punto di vista alimentare, si tratta di un orzo integrale che non ha bisogno di essere decorticato perché tutta la sua parte esterna (il pericarpo) è digeribile. Resta sempre al dente, è adatto ai diabetici perché abbassa l’indice glicemico ed è ricco di betaglucani. Gli orzi “vestiti” vanno prima “spogliati”: se si tolgono solo le glumelle si parla di orzo decorticato, se si toglie anche il pericarpo si parla di orzo perlato. Parlando dei vari usi dell’orzo, Renzo dice: “La farina di orzo si può aggiungere a quella di frumento per fare un pane più saporito. Si può provare a fare anche un pane solo di farina d’orzo, come lo fanno in Tibet, oppure delle gallette azzime, ispirandosi di nuovo agli antichi Romani, oppure seguire la ricetta sarda del “pan de orju”.Se tosti un po’ la farina ottieni un sapore veramente particolare e aromatico. E’ disponibile anche il tritello di orzo, in pratica orzo macinato grosso, adattissimo per le minestre e di cottura assai rapida. Se lo si tosta, si può utilizzare come il cuscus per un piatto con le verdure. Allo stesso modo si possono cucinare il miglio o il sorgo.”
. “La segale – dice Renzo – è un cereale dimenticato, ed è un vero peccato perché ha le stesse proprietà del frumento, si può usare per fare sia pane che dolci. Ha anche il pregio di essere a cariosside “nuda” come il frumento. In fin dei conti tutti i cereali si assomigliano come valori nutritivi, ma le loro esigenze colturali sono ben diverse, e la segale, così come il farro, sono molto rustici!” Se ci si vuole cimentare con il pane di segale, Renzo consiglia di usare un impasto abbastanza liquido, 1 kg di farina per 1 kg di acqua per avere un buon risultato. “Se lo fai così ti verrà meglio che il pane austriaco!” Con la farina mista di segale e mais si può fare una “polenta nera”: per Renzo è un ricordo del nonno, che ne parlava come di un ricordo dei tempi di guerra, quando il mais era poco e ci si poteva dire fortunati ad avere almeno la segale.
Un roseo avvenire attende certo il grano saraceno (pianta che pur non essendo una graminacea viene comunque considerata un cereale) in quanto privo di glutine. “Di per sé è una specie rustica e cresce velocemente – racconta Renzo – ma richiede molta attenzione al momento della raccolta. Infatti la pianta fiorisce ininterrottamente per circa 2 mesi e produce man mano i suoi frutti. In questi casi i tecnici parlano di “pianta “indeterminata”; sono in corso studi, anche in collaborazione con l’Università di Udine, per trovare delle varietà “determinate”, per ridurre cioè la scalarità della maturazione.”
Attualmente il grano saraceno intero, ma decorticato, cioè privato dei tegumenti sterni, si può usare per zuppe e minestre. La sua farina può entrare nella composizione di pane e pasta, oppure, se mescolata alla farina di mais, può dare una polenta scura e saporita. In Austria e in Slovenia si mangia anche la polenta di solo saraceno, ha un sapore forte ed è da abbinare alla selvaggina o a formaggi piccanti (“un bon Montasio di trente mês”), 100 g farina e 200 g di acqua, cuoce in 20 minuti…se piace, piace!
Il sorgo e il miglio sono due (relativamente) nuovi ingressi nella hit parade dell’azienda. Si tratta di due cereali privi di glutine e, nella nostra epoca di crescenti intolleranze alimentari, sono destinati certo a un brillante futuro. Sono molto rustici e resistono bene alla siccità, non per nulla vengono molto coltivati in Africa.
Anche la decorticazione del miglio e del sorgo viene fatta in azienda. Una volta il sorgo e miglio erano abbastanza coltivati in friuli, ma sono stati abbandonati nel secolo scorso; andrebbero però valorizzati per variare la nostra alimentazione e abbassare la quantità di glutine che ingeriamo. Il miglio è comunque un prodotto di nicchia, se lo paragoniamo alla farina di farro o di frumento, che hanno una ben altra cerchia di consumatori. Forse saranno dei cibi del futuro.
Il pane con le “macchinette”
Passati in rassegna tutti i vari cereali e raccontati pregi e difetti di ciascuno, faccio presente a Renzo una mia perplessità. Sono almeno quindici anni che faccio il pane in casa con le benemerite “macchinette”, parlo al plurale perché in tutto questo tempo ne ho usurata più di una, però – ahimè – quelle di funzionare bene con le farine di grani antichi non ne vogliono proprio sapere, le pagnotte non lievitano oppure implodono, cosa devo fare? Sono condannata a usare la farina del supermercato? – gli chiedo mentre assaggiamo un pane fatto con un lievito madre che ha più di 80 anni. Renzo ridacchia e mi dice che una soluzione c’è, basta “ingannare” la macchinetta.
“Vedi, le farine biologiche, e in modo particolare quella di farro, hanno poca forza, il loro valore W è basso, mentre quelle del supermercato sono forti, e le macchinette in commercio sono tarate su queste ultime, quindi è logico che una farina diversa le metta in crisi. Bisogna dare all’impasto il tempo di lievitare, quindi devi fare così: spegni la macchina del pane alla fine del ciclo di impasto e lascia la pasta a lievitare tranquilla dentro lo stampo, ci vorranno 4-5 ore, se usi il lievito di birra la cosa è un po’ più veloce, con il lievito madre ci vuole più tempo, comunque ci vuole qualche prova, dipende da molti fattori come la temperatura e l’umidità dell’ambiente. Quando l’impasto è ben lievitato e ha quasi riempito lo stampo non devi fare altro che cuocerlo impostando il programma di sola cottura, che tutte le macchine del pane hanno. Tutto qui. Elementare.”
Ma torniamo ora alla questione iniziale dell’articolo, esiste una pasta biologica made in Friuli? La risposta è positiva: “Nel 2008 abbiamo iniziato una collaborazione con un pastificio artigiano di Lestans. Noi portiamo là le nostre farine, che vengono lavorate in un ciclo a parte, e ritiriamo integralmente quanto viene prodotto dandogli il nostro marchio. Si tratta di piccoli lotti di pasta, al massimo 50 kg alla volta. Queste paste sono un prodotto veramente eccezionale: sono gustose ma estremamente digeribili, non danno gonfiore intestinale, tengono bene la cottura e “rendono” nel piatto. Al 100% di farro ci sono le tagliatelle, le fettuccine e gli strozzapreti; con il “Grano dei faraoni” i fusilli; con il grano Senatore Cappelli le penne e i gigli. La pasta corta cucina in soli 6 minuti, tagliatelle e fettuccine addirittura in tre. E poi ci sono i blecs con quattro farine: di grano tenero, di grano duro, di mais e di saraceno. E in più uova. E si cucinano in 5 minuti.”
Quale è la prossima sfida? “Sarà produrre del buon pane, solo farina di farro con lievito madre di farro.”
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