©Antonietta Spizzo per “IL NUOVO”2004
Decima e ultima tappa, Plan delle Farcadice, m 650, in comune di Faedis. Per chiudere in bellezza questo breve viaggio alla ricerca della montagna friulana che resiste, abbiamo scelto non un paese ma un caso emblematico e decisamente controcorrente: c’è qualcuno, ogni tanto, che come Antonio Zaro decide di andare a vivere e a lavorare in montagna e si insedia – come un nuovo pioniere – in mezzo alla natura. E l’azienda agrituristica condotta da lui e da sua moglie Patrizia è oggi una realtà consolidata e dimostra non solo che con coraggio e passione si può vivere, e bene, anche in una situazione difficile, ma anche che è possibile creare dal nulla un’attività produttiva e posti di lavoro.
Plan delle Farcadice (da farc, talpa, allude ai numerosi fenomeni carsici presenti) è un’ampia valle quasi pensile che discende verso il torrente Lerada, affluente del Natisone. Dicono i vecchi che questo posto era il paradiso terrestre, tutto un prato, tutto curato come un giardino, e con teleferiche volanti venivano portate a valle tonnellate di fieno. Ci si arriva da Faedis, prendendo la strada per Canebola, salendo fino alla Bocchetta di S.Antonio (m790) e poi scendendo ancora per un paio di km. Poco oltre c’è il posto di confine di Robedischis, attualmente transitabile solo con il lasciapassare.
Ma eccoci davanti alla terrazza dell’agriturismo per incontrare Toni, 40 anni, Patrizia, e le loro figlie Sara, Martina e Irene. Intanto vorremmo sapere quali sono le dimensioni dell’azienda. “La nostra è una azienda a indirizzo zootecnico con 14 ettari di terreno. Alleviamo principalmente capre e cervi, poi abbiamo pecore, 12 maiali, alcune mucche da latte e animali di bassa corte. Poi ci sono le api. Abbiamo un grande orto e un meleto di 2000 mq. La certificazione del biologico l’abbiamo già dal 1992. Naturalmente usiamo tutti i prodotti nell’agriturismo che è aperto al fine settimana. Poco ma di tutto, siamo un’azienda quasi autosufficiente.”
Toni, raccontaci, come è nato questo tuo sogno ? “Mio padre aveva un pezzetto di terra qui e un prefabbricato, e quando ero piccolo mi portava sempre su con lui. Qui non c’era null’altro. A me questo posto è sempre piaciuto proprio per questo. Ho sempre desiderato vivere in un contesto alternativo e in cuor mio ho sempre sperato di potermi insediare proprio in questo posto. A 16 anni ho conosciuto Aligi di Campo di Bonis. Con lui ho imparato ad apprezzare la montagna, a mungere le mucche, mi sono innamorato di questa vita. A 19 anni avevo già un trattore e alcune capre… poi la cosa è sfumata e per qualche anno ho dovuto rassegnarmi a lavorare a Udine. Ma è sempre rimasto questo bocciolo che cercava di fiorire. Il fiore è sbocciato quando ho incontrato Patrizia.
Ero a Campo di Bonis e lavoravo con i muli nel bosco, a portar fuori legna. Patrizia lavorava lì nell’agriturismo, scappava da un mondo che l’aveva stressata. Io le ho chiesto quasi per scherzo se voleva lavorare con me e lei è venuta sul serio ad aiutarmi… Sono stati 4 mesi di pura fatica fisica, ma alla sera eravamo stanchi e soddisfatti. Era il 1990. Da allora non ci siamo più separati nemmeno per un giorno. Il posto dove stare ce l’avevamo, ma tutto il resto era da creare completamente, non c’era nemmeno la luce elettrica. Vivevamo accampati, mangiando scatolette di tonno alla luce delle candele. I nostri primi animali sono stati la capra Bianchina, la cavalla Ambra e il mulo Pan. Abbiamo cominciato con 5 capre, 4 oche e due conigli. Com’eravamo emozionati quando abbiamo venduto la prima formetta di caprino! Ci veniva da ridere, correvamo su e giù con forchette e piatti, a lume di candela, e non sapevamo cosa fare. Tutta questa prima attività pionieristica è durata un anno, fino al ’91, poi è cominciata quella che io chiamo “la scalata burocratica”: cominci a chiedere contributi per l’agriturismo, ti serve la concessione edilizia, le autorizzazioni della Usl per la stalla, la latteria… E poi devi portare l’acqua, sistemare la strada, fare il collegamento dell’elettricità, mettere gli scarichi a norma. Ci sono i contributi, è vero, ma devi metterci anche tu una bella parte del tuo e così fai un mutuo. Per pagarlo aggiungi due tavoli, assumi una persona ad aiutarti, cominci a farti pubblicità… e inizia una spirale che è difficile arrestare.
Ci sentiamo di definirci a ragione “pionieri” perché abbiamo fatto tutto da soli, creando l’unico insediamento stabile in un territorio ormai abbandonato da tempo. Questo è un posto difficile, bellissimo ma difficile. D’inverno fa molto freddo, -15, -17 sono la norma, e quando non avevamo l’acqua corrente era davvero dura portare su l’acqua per gli animali con le taniche. L’acqua si ghiacciava durante il tragitto, e di notte si ghiacciava anche l’acqua sul comodino. Anche farsi un orto ex novo nel bosco è dura! Non ci si rende conto che la montagna coltivata è stata bonificata con decine di anni di lavoro costante, anche per avere un prato polifita ci vogliono anni di lavoro.”
Facciamo un po’ di bilancio dunque dei vostri anni di lavoro. Toni: “Se penso a quello che ho fatto con il mio lavoro provo una soddisfazione totale: adesso abbiamo un’azienda e un agriturismo che funzionano, riceviamo tantissimi apprezzamenti, abbiamo creato dei rapporti di lavoro alternativi con i nostri due collaboratori che condividono la nostra vita, come Gabriele e Doriana, che è qui da ben 7 anni. Ma se osservo il contesto sono avvilito. Siamo stritolati dalla burocrazia, perché siamo trattati come una qualunque azienda di pianura. Faedis è considerato come Povoletto perché il suo territorio è montano per meno di un terzo! E poi, più completo sei come azienda e da più parti vieni tartassato burocraticamente, invece di essere incentivato. L’autosufficienza non è considerata un valore. La nostra azienda vende i suoi prodotti all’agriturismo e anche per uno spostamento di prodotti all’interno dell’azienda dobbiamo tenere una contabilità. I controlli sono quasi grotteschi, se pensi che abbiamo solo 3 mucche. Ci trattano come se fossimo la Parmalat. Per lo sfalcio c’è pure un controllo aereo!
Per star dietro a tutte le questioni burocratiche uno di noi dovrebbe stare in ufficio 3 ore al giorno. Il motivo per cui siamo venuti qua è stato stravolto: ormai il coltivatore diretto bravo è quello che è aggiornato su tutte le possibilità per ottenere i contributi. Noi siamo coltivatori in una zona svantaggiata in cui pensiamo sia importante anche il solo fatto di tenere una luce accesa. In realtà in un’avventura così ti butti quando sei giovane e ingenuo e pensi di poter far tutto con la forza delle tue spalle, invece devi volente o nolente integrarti nel sistema, quel sistema da cui volevi uscire. Questo snatura la tua scelta. E’ molto più semplice ingannare e guadagnare senza fatica facendo cose fasulle. Non capisci perché c’è questo accanimento contro il piccolo e ti chiedi: ma a chi giova? Finché cominci a pensare che è tutto voluto, gli amministratori si riempiono la bocca di belle parole sullo sviluppo della montagna ma in realtà hanno fatto di tutto per spopolarla, perché le frazioni alte costano, la classe dirigente pensa solo alle elezioni e i voti della montagna sono pochi e privi di peso. Non si è mai pensato all’agricoltura e al turismo ma solo all’industria.., e adesso gli industriali se ne vanno in Cina!”
Patrizia:“Ma noi non molleremo. Dopo questa esperienza non mi fa paura nient’altro. Nonostante tutti questi aspetti negativi, l’altro piatto della bilancia, quello positivo, è tutto interiore ed è difficile da descrivere: siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto con le nostre mani… e siamo felici di vivere qui. È bellissimo guardare fuori e sapere di essere completamente isolati, immersi nella natura. Poi c’è la serenità delle figlie, questi sacrifici li facciamo anche per loro, sappiamo che stiamo regalando loro un’esperienza grande che poi resterà loro per sempre. In fin dei conti sono privilegiate, hanno un contatto vero con le cose vere, non è tutto virtuale o inscatolato. Si confrontano con il freddo, le intemperie, gli animali. A loro volta le nostre figlie sono orgogliose di portare qui i loro amici. Non siamo affatto isolati, l’agriturismo è una finestra sul mondo che poi si richiude al lunedì permettendoti di tornare nella pace.
E’ forse più facile fare qui qualcosa di diverso che non stando in pianura in mezzo alla gente dove non riesci a liberarti dal contesto. Siamo appagati dalla nostra scelta, tutto quello che chiediamo è di non vivere con la paura di sbagliare un tasto sul registratore di cassa, che è una cosa che non ha niente a che fare con l’agricoltura in montagna.”
Prospettive per il futuro? “A un km da qui, oltre il confine, c’è un piccolo paese, Robedischis, dove oggi vivono 7 persone. Lì il nostro amico Igor ha 100 pecore e dei cavalli e ha intenzione di creare un agriturismo in un’antica casa in pietra. Non manca più molto al momento in cui quel confine non esisterà davvero più. Fino ad oggi mi sono sentito sempre alla fine di qualcosa, in una realtà dimezzata, dopo saremo nel centro.”
Arrivare a Plan delle Farcadice: In auto da Faedis per Canebola; si sale alla Bocchetta di S.Antonio (m790) e poi si scende per un paio di km (ottime segnalazioni); oppure da Pulfero per Montefosca, continuando la strada oltre il paese per circa 4 km; vivamente consigliato: in mtb o a cavallo da Torreano di Cividale per la strada bianca del m.Craguenza, la Bocchetta di Masarolis e la strada bianca sul versante Est del m.Joanaz (carta Tabacco al 25.000 “Valli del Natisone”).