A Rodda, dove fioriscono i limoni

Voglio raccontare di una giornata passata con un gruppo di escursionisti tedeschi che iniziano a scoprire i molti tesori nascosti delle Valli del Natisone. Iniziamo la giornata a Guspergo, pochi chilometri a nord di Cividale, dove il gruppo alloggia presso l’agriturismo “Ai Casali”, gestito da Luigi ed Elena, una coppia giovane e dinamica. Ho preparato il mio gruppo al fatto che oggi faremo un’escursione su “sentieri selvaggi” e vedo che c’è grande attesa. La nostra meta è Rodda, un paese con un carnevale molto particolare. Dal fondovalle saliremo a circa 450 metri di altitudine fino alla borgata più alta, dove pranzeremo con Michela e suo marito Antonio, che intaglia le tradizionali maschere di legno.

Con le biciclette, fornite gratuitamente agli ospiti, raggiungiamo in pochi minuti la fermata dell’autobus della linea Cividale – Stupizza, nella valle del Natisone. Il tragitto fino a Pulfero è breve, meno di un quarto d’ora, e la fermata si trova vicino a una panchina dipinta di rosso che ricorda tutte le vittime di femminicidio e il numero antiviolenza 1522.

Quando ci imbattiamo in un cartello che indica il “Sentiero della Krivapeta”, il mio gruppo si pone molte domande. Chi sono queste creature mitiche delle valli del Natisone? Sono le sagge donne dei boschi e delle sorgenti che hanno insegnato alla gente molte tecniche, come la tessitura, la raccolta di erbe medicinali, la preparazione del pane e del formaggio. Chissà se incontreremo una di loro?

Camminiamo per circa 100 metri attraverso prati e orti, poi un sentiero erboso si dirama sulla sinistra e conduce a una serie di ripidi gradini nella foresta. Lo stretto sentiero compie alcuni tornanti e poi attraversa uno dopo l’altro tre alti muretti a secco con un ingegnoso sistema di pietre sporgenti che formano dei gradini. Dopo aver attraversato un piccolo ruscello, il sentiero prosegue attraverso un fitto bosco fino ai prati sotto Bizonta. Questa frazione è particolare perché è costituita da una sola grande casa, ancora abitata, ben restaurata e architettonicamente sofisticata. Ci fermiamo ad ammirare la casa e, attirata dal nostro vociare alla finestra, un’anziana signora si affaccia e si stupisce di vedere tanta gente in un luogo così remoto.

Bizonta è la prima delle tante piccole frazioni che concorrono a formare Rodda, un tipico toponimo collettivo: non vi è nessun singolo gruppo di case che porti questo nome. Subito dopo arriviamo alle case di Domenis/Domejza: sul tornante ci accoglie una costruzione particolare con un ampio porticato sorretto da tre colonnine. Faccio notare al mio gruppo quanto siano grandi le abitazioni e ricercata la loro architettura…ma loro non sanno immaginare ancora il perché! Il sentiero torna nel fitto del bosco:  passiamo accanto ai ruderi di una cappella e a un vecchio e altissimo faggio.

Dopo un po’ incrociamo la strada asfaltata in prossimità di un tornante, passiamo davanti all’edificio ormai fatiscente della latteria e arriviamo a Cosanea/Kosaneja. Oltrepassiamo in breve la zona coltivata a frutteto e ci inoltriamo nel bosco su una larga pista in salita che porta a Uodgnàch, m 537. Poco prima delle case ci aspetta un piccolo luogo incantato, adatto per una sosta: una sorgente con una grande vasca, ombreggiata da un abete e vicino a un’ancona. Un cuore di legno, inchiodato al tronco, dice: “fate come gli alberi…/cambiate le foglie/ ma conservate le radici”.

Siamo giunti nel punto più alto e non manca molto a quella che un tempo era la borgata principale Tumaz/Tuomac, che ci accoglie con una piazza inaspettatamente ampia, una grande chiesa dedicata a San Zenone (costruita nel 1425) e alcune case quasi signorili. Ma adesso davvero dobbiamo chiederci: come mai proprio qui? Per quanto adesso Rodda ci sembri povera e quasi spopolata, fino a settant’anni fa godeva di un discreto benessere derivante dalla coltivazione delle pesche.

Oggi nulla potrebbe far immaginare che fino a settant’anni fa da Brischis alle più alte borgate di Rodda il colore dominante in primavera fosse il rosa dei peschi. Damiano Blasutig (1941- 2013), che aveva salvato una decina di peschi dalla scomparsa, così mi aveva raccontato nel 2005: “Il pesco è una pianta delicata ed esigente, ma Rodda è una nicchia ecologica e ha un microclima così buono che da marzo a novembre stai sempre in canottiera! Ecco perché i peschi crescevano così bene. C’erano cinque tipi di pesche: le Laureke, a pasta gialla; le Alberte di giugno, gialle gialle, con la polpa che si staccava perfettamente dall’osso; le Alberte, a cuore; poi le Ala, rotonde, gialle e rosse, ma bianche dentro; infine le Uldinesi, un po’ più piccole ma certamente le migliori. La raccolta durava da metà agosto al 20 settembre. Ogni famiglia ne produceva da 70 a 100 quintali, e in media in tutto il paese se ne raccoglievano 50-60 quintali al giorno. Le pesche si vendevano in Veneto fino a Vicenza e venivano portate anche in Belgio e in Olanda. Il pesco non è longevo, vive al massimo quindici anni, così ogni famiglia dal seme ricavava un centinaio di alberelli ogni anno, che venivano poi innestati in modo da rimpiazzare le piante troppo vecchie.”

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E che il clima sia davvero eccezionalmente mite lo dimostra la profusione di fiori che fa bella mostra di sè davanti a ogni casa, in ogni cortile: geranei, ortensie enormi, oleandri, glicini …Ma quello che davvero stupisce il gruppo è vedere ripetutamente piante di limoni (in vaso naturalmente) che in questa stagione mostrano già i frutti nascosti tra il fogliamo verde scuro. “Conosci il paese dove fioriscono i limoni?” – chiedeva Goethe in una famosa poesia più di due secoli fa.

Ma non c’è tempo per soffermarsi troppo a lungo davanti alle piante, anche se anche qui una persona si è affacciata alla finestra; Michela Predan, gestrice della “Casa delle maschere”, ci sta aspettando con il pranzo preparato usando le prelibatezze delle “Donne della Benecija”, un gruppo di imprenditrici locali che hanno fondato un’associazione (l’unione fa la forza) per promuovere i prodotti delle Valli del Natisone.

In un quarto d’ora scendiamo a Clavora lungo un’antico sentiero e arriviamo alla casa di Antonio e Michela. Anche Antonio ci sta aspettando, perché si è preso mezza giornata libera dal lavoro. E’ lui l’artigiano intagliatore del legno che costruisce le maschere del Carnevale di Rodda studiando sia quelle antiche del posto che elaborando modelli presi da altri Carnevali delle Alpi. Squisite tartine con creme vegetali sono già sui piatti, da bere c’è vino oppure sciroppo di fiori di sambuco; segue una minestrone di verdure e un delizioso strudel di pere. Finito il pranzo Antonio, classe 1973 racconta delle sue maschere e delle tradizioni di Rodda, e poi si sottopone volentieri a un sacco di domande che provengono dal gruppo.

“È un Carnevale dinamico, non è uno show per turisti, ma una vera festa paesana, che richiede interazione continua tra le maschere che passano di casa in casa e i non mascherati che le accolgono”. Le due maschere-guida (in senso proprio, perché guidano il corteo) sono il Diavolo/Zluodij e l’Angelo/Anjulac; sono entrambi mascherati, tuttavia è solo il Diavolo a portare una maschera di legno con appariscenti corna. Il Diavolo indossa una calzamaglia nera, da cui spuntano le ali nere e la coda (una vera coda di mucca); brandisce un forcone con cui deve creare scompiglio e disordine; è incatenato con una pesante catena all’Angelo, che lo deve tenere a bada. Se il Diavolo ha… fisico e si impegna nel suo mestiere, anche il compito dell’Angelo non è di tutto riposo! L’Angelo comunque non è un angelo qualsiasi, ma nientemeno che san Michele Arcangelo… È biancovestito con una lunga tunica, porta una parrucca bianca e una mascherina sul volto. Le due figure principali sono accompagnate da uno stuolo di Pustje, con vestiti fatti di striscioline colorate, alti cappelli a punta, campanacci legati sulla schiena o intorno alla vita e le kliešče, tenaglie retrattili di legno, con cui rincorrere bambini e ragazze (soprattutto queste ultime!) facendo dispetti e incutendo paura. Nel corteo naturalmente non mancano mai i fisarmonicisti. Altre maschere variano di anno in anno. È un carnevale itinerante nel vero senso del termine, perché si svolge dalla frazione più alta, Scubina, alla frazione più bassa, Zeiaz. Scendendo si mette a soqquadro un po’ quel che capita di trovare davanti alle case che accolgono il corteo; una volta entrati si canta, si balla, si mangia e si beve tutti assieme. Il tutto dura dalla mattina alla sera (e anche oltre).”

L’Angelo e il Diavolo sono maschere esclusive di Rodda, una tradizione arcaica che non si è mai allargata ai paesi più vicini – Montefosca, Mersino, Montemaggiore – che d’altro canto, guarda caso, coltivano anch’essi tradizioni davvero peculiari. Tradizionalmente la partecipazione al corteo era riservata esclusivamente a uomini e ragazzi, ma dal 1979 venne allargata alle donne; oggi partecipano anche i bambini. Del resto, quando Antonio era bambino – cioè solo quarant’anni fa – aveva una gran paura dei Pustje, personaggi molto attivi e quasi aggressivi nei loro scherzi. Prima del grande spopolamento dei paesi, avvenuto negli anni Novanta, a Rodda vivevano ancora 500 persone e il corteo del carnevale era composto da almeno una trentina di maschere; oggi la tradizione continua, ma molti vengono da fuori.

Quando è ora di andare, Antonio ci accompagna per un lungo tratto, perché il percorso si svolge lungo un vecchio sentiero (“la direttissima”) che era quasi scomparso e che lui ha ripristinato apposta per noi! Scendiamo in un bellissimo bosco intersecando numerose volte la strada con un percorso completamente diverso da quello dell’andata e che conserva il fascino di un sentiero ora selvaggio, che però era quello che tutti facevano fino agli anni 80, quando Rodda era ancora popolata.

Quando finalmente raggiungiamo la strada principale, ci sediamo su un muretto accanto alla fermata dell’autobus, e mentre aspettiamo questa escursione agisce come una macchina del tempo su tutti noi. Ognuno rovista nella nella soffitta dei ricordi e rivivono episodi dimenticati, come la strada che facevamo per andare a scuola, oppure un carnevale dell’infanzia o un’erba selvatica usata dalla nonna.

Il risultato è un cortocircuito di ricordi che rappresentano una ricchezza inaspettata per tutti. E domani ci aspetta una nuova escursione, con nuovi paesi, storie e persone.

Antonietta Spizzo