Da generazioni la famiglia Celant di Polcenigo alleva le pecore alpagotte, una razza antica e robusta, adatta all’alpeggio, e ora considerata meritevole di tutela.
© Antonietta Spizzo per “IL NUOVO”, 2006.
Per questa nuova puntata andiamo ai confini occidentali del Friuli, e precisamente a Coltura di Polcenigo, ai piedi del poderoso muraglione del Cansiglio che si erge quasi di colpo dalla pianura. E’ qui, in una delle ultime case del paese, già sul pendio, che si trova l’azienda agricola di Michele Celant, agricoltore, allevatore e “custode” della razza delle pecore alpagotte. Lo incontriamo nell’aia, intento ad armeggiare su un trattore, con due cucciolotti scatenati che giocano ai suoi piedi.
Michele, classe ’62, ha un modo di fare aperto e franco e un sorriso simpatico che ti fa passare in un attimo dal lei al tu. Bè, faccele vedere queste alpagotte che siamo curiosi!
Seguiamo Michele nel grande prato dietro la stalla. E’ una giornata stupenda, quasi primaverile, l’erba è verde e solo degli altissimi alberi di caco, spogli di foglie ma carichi di frutti, ci ricordano che siamo ancora in inverno. E le pecore sono lì che brucano godendosi il tepore del sole, nel loro folto vello ondulato.
Nessuna da scartare
“E’ una tradizione di famiglia che ci tramandiamo da molte generazioni – esordisce Michele sorridendo – da sempre abbiamo avuto un piccolo gregge di alpagotte, un gregge per uso familiare, una decina di animali soltanto. Vedi, l’Alpago è proprio al di là di questa montagna, è logico che ne avessimo anche noi. Me lo ricordo bene mio nonno, che era nato nel 1907, quando raccontava che già il suo bisnonno li possedeva. Quando il dr. Emilio Pastore dell’Università di Padova è venuto qui in azienda per verificare se le mie pecore fossero effettivamente dell’antica razza, è rimasto estremamente sorpreso nel constatare che tutte avevano queste caratteristiche, che non ce n’era nemmeno una da scartare. Non ti dico che soddisfazione quella volta! In fin dei conti queste pecore ormai le tengo solo per passione e non certo per il reddito che me ne potrebbe derivare!”
La caratteristica principale dell’antica razza alpagotta è quella di avere il muso e le zampe maculate di nero (in taluni esemplari, molto rari, anche di rosso). Davvero curioso, dopo le mucche macchiettate (rainas) della Carnia, incontrare ora un’antica razza di pecore con lo stesso segno distintivo!
“Sono animali robustissimi – continua Michele- non si ammalano mai, non si azzoppano mai, sono adattissimi per il pascolo su terreni anche difficili come quelli delle nostre montagne. Le loro dimensioni sono piuttosto contenute, non superano mai i 50 kg, il maschio è solo leggermente più grosso ed è senza corna. E’ una razza adatta alla produzione di carne e di latte, a differenza della pecora sarda che è esclusivamente da latte. L’alpagotta comunque si difende bene anche in questo campo perché produce circa un litro e mezzo di latte al giorno che non è proprio una quantità da buttar via!”
Estate all’alpeggio
Michele Celant porta i suoi animali d’estate alla malga Costa Cervera, su verso il Cansiglio, a 1130 metri di altitudine. Tradizionalmente la sua famiglia raccoglieva le pecore di tutto il paese e formato un unico grande gregge lo portava all’alpeggio estivo.
Michele ha trovato l’onda giusta per raccontare e nella sua parlata ormai quasi veneta dolcemente strascicata si lascia andare ai ricordi: “Fin da piccolino andavo in malga con il nonno mentre mio padre si occupava di tutti i lavori agricoli indispensabili qui a valle, primo fra tutti il fieno per i mesi invernali. Ogni domenica ci raggiungeva per portarci su le scorte alimentari. Vedi, questa qui si chiama via Cansiglio perché cento metri più avanti dove finisce la strada inizia la mulattiera che va dritta dritta su al Cansiglio. Adesso vedi tutto bosco ma mi ricordo io che era pulito e che portavano giù il fieno con le slitte”.
Adesso per andare a Costa Cervera c’è la strada, ci si arriva in 35 minuti di macchina passando da Mezzomonte, ma Michele si ricorda benissimo di quando c’era solo il sentiero (ancor oggi tenuto in ordine dal CAI) e lui ci saliva tenendosi attaccato alla coda del mulo: “Picjati a la coda! Picjati a la coda! mi diceva la nonna quando protestavo perché ero stanco di camminare. Io però non stavo su con loro tutta la stagione perché dovevo andare a scuola. Infatti qui l’alpeggio dura molto di più che in Carnia, almeno fino alla prima settimana di ottobre. Tradizionalmente si saliva in malga alla seconda settimana di maggio solo con le pecore, che venivano fatte pascolare nei luoghi non adatti alle mucche. C’erano degli steccati di legno che venivano spostati ogni giorno. Le mucche invece salivano ai primi di giugno. Così il formaggio prodotto nelle prime settimane di alpeggio era puro pecorino. Il latte di pecora è più grasso e più concentrato di quello di mucca e rende il doppio: con 10 litri di latte di pecora si ottengono 2 kg di formaggio.Poi con l’arrivo delle mucche il formaggio diventa misto. A metà agosto, quando le pecore vanno in asciutta, e cioè non producono più latte, il formaggio sarà esclusivamente di latte di mucca. In questa alternanza di latti e di sapori sta la caratteristica del vero formaggio tradizionale delle nostre malghe.
Sono malghe piccole, quelle dell’altopiano Cansiglio-Cavallo, mica come quelle carniche: qui erano ammesse solo 24 mucche, un toro, un cavallo o un mulo, 150 pecore, 4 o 5 maiali e un certo numero di tacchini e galline. E i controlli i forestali li facevano, eccome! Con tutti questi animali ci impiegavi una giornata, una giornata e mezza ad andare su, mica era facile far camminare i maiali, e i tacchini venivano messi in gabbiette e portati su con una slitta oppure legati sul basto del mulo. Il nonno aveva su in malga 80 pecore da latte, oltre alle sue! E pensa che vanno munte due volte al giorno! Il nonno faceva il casaro ed era molto geloso dei segreti del suo mestiere, che io ho imparato solo portandoglieli via con la coda dell’occhio, ha fatto formaggio lassù fino a 83 anni, cioè fino al 1990.”
“In montagna vado io!”
A questo punto Michele, aiutato dalla moglie Maria, ha rilevato l’attività della malga, portando con sé anche le due figlie Annalisa e Jessica, di 5 e 2 anni. Ha dovuto però rinunciare a portare all’alpeggio le pecore degli altri, come faceva il nonno, e si è limitato a tenere il suo piccolo gregge di alpagotte, ingrandendo la sua azienda con qualche mucca da latte in più e trovando in questo un buon equilibrio.
Michele Celant con la figlia Annalisa
“Quando è mancato mio papà, tre anni fa , inaspettatamente, in pochi mesi – Michele prosegue – mi sono trovato dinanzi alla necessità di lasciare la malga. “ Vado in comune a disdire il contratto”, ho detto, e la figlia mi fa: “In montagna vado io”. Niente, è partita e ha fatto tutto da sola, aveva appena 18 anni, doveva ancora finire la quinta superiore. Non me lo aspettavo, anche se lei ha sempre avuto passione per questo lavoro. Così ormai da tre anni la lavorazione del latte la fa lei, da sola. Mia moglie aiuta Annalisa e io sto qui a valle a fare il fieno per l’inverno, ma vado spesso su alla sera e gli do una mano.”
La scelta di Annalisa, certo la più giovane casara della Regione, è decisamente controcorrente e gli occhi di Michele brillano di orgoglio posandosi sul bel volto ridente della ragazza incorniciato dai lunghi capelli neri. Anche Annalisa interviene nel discorso: “Siccome adesso si parla tanto di incentivare la montagna, abbiamo fondato l’Associazione dei Malgari della dorsale Piancavallo-Cansiglio, che è una bella realtà estremamente attiva. Essere in tanti ci aiuta a presentare i progetti di fronte all’autorità regionale. Per il momento noi siamo autorizzati solo alla vendita diretta e alla preparazione di piatti freddi, ma per il futuro contiamo di ampliare le nostre attività di agriturismo, che ci sembrano una carta vincente. ”
Allevatori custodi
Ci rendiamo conto che poter contare sull’aiuto e sull’entusiasmo della figlia ha certamente impresso ulteriore forza e ottimismo a Michele, che affronta le sfide del futuro in modo propositivo. Battute spiritose e risate allegre popolano ogni discorso, ogni tema che affrontiamo. Parlando a ruota libera, delle alpagotte ci siamo quasi dimenticati. Quale sarà il loro futuro?
“Grazie all’associazione delle malghe sono stati presi contatti con il prof. Bovolenta dell’Università di Udine e il dr. Pastore, e si è formato il gruppo degli Allevatori Custodi del FVG, che conta attualmente una trentina di iscritti. Il progetto ha una durata di cinque anni, durante i quali ci si impegna non solo a mantenere gli animali ma anche a ringiovanire il gruppo, che va naturalmente allevato in purezza. Così si devono allevare i riproduttori e far sì che le femmine partoriscano almeno due volte nell’arco di 5 anni. Questo progetto riguarda le pecore, non solo le alpagotte ma anche le carsoline e le plezzane, e poi alcune razze di mucche e i cavalli TPR. Questo progetto sarà inserito nel nuovo Piano di Sviluppo Rurale 2006-2013. Speriamo che venga adeguatamente finanziato, altrimenti pazienza, io le mie alpagotte sicuramente non le mollo!” Un futuro roseo è quindi sicuramente quello che attende le pecore di Michele, che comunque è un ricercatore di suo, e non si ferma certo qui. Infatti ci confida quasi con tono da cospiratore: “Sono riuscito a scovare in Slovenia un bellissimo toro della vecchia razza bruna, di quelli resistenti, che non si ammalano mai, e a giorni mi arriverà qui nella stalla! Si chiama Beno e non è un toro da buttar via, eh! La sua mamma fa 70 quintali di latte!Se volete tornarmi a trovare…”
© Antonietta Spizzo 2006 per “IL NUOVO”.