Negli ultimi tempi si fa un gran parlare di “grani antichi”, intendendo in realtà grani tradizionali e locali. Trattandosi di un argomento complicato, la confusione regna sovrana, perché quasi sempre non si conosce l’ampia tavolozza dei cereali, e tra questi ancor meno si distinguono i vari tipi di frumento con le loro innumerevoli varietà.
Innanzitutto dobbiamo chiederci se sia corretto chiamare “antiche” queste varietà. Antiche rispetto a quando? Che multiplo di dieci vogliamo prendere come metro, 100 oppure 10.000 anni? Se vogliamo risalire agli albori dell’agricoltura e alla conseguente domesticazione delle piante selvatiche, allora tutti i cereali sono stati “geneticamente modificati”, perché sono stati senza sosta selezionati dall’uomo per adattarli alle sue esigenze. Se parliamo invece del secolo scorso, i grandi mutamenti sono avvenuti negli anni Cinquanta, con l’avvento dei fertilizzanti chimici e la necessità di produzioni sempre maggiori. In questo secondo caso a buon diritto possiamo definire “antichi” quei cereali che non hanno subito selezioni recenti.
Premesso che tutti i cereali di cui parleremo, anche quelli di nicchia, sono coltivati anche in Friuli e quindi si possono acquistare qui da noi privilegiando una filiera corta (rivolgersi eventualmente all’Associazione Italiana Agricoltura Biologica, www.aiab.fvg.it), possiamo allora chiederci per quali motivi dovremmo ricercare e consumare queste varietà.
Le risposte sono molteplici, e ognuno di noi può scegliere se accoglierne tutte o solo alcune. Innanzitutto sarà per il sapore, che è nettamente più intenso, aromatico e persistente, e per le qualità nutrizionali superiori. In secondo luogo perché si sostiene la biodiversità del proprio territorio e si dà un aiuto ai piccoli agricoltori che hanno salvato il patrimonio genetico dei semi. Terzo motivo: si sostiene una filiera corta, comprando cereali della propria regione e non da oltreoceano (si ricordi che il famoso Kamut ® viene dal Canadà e dagli USA). Quarto: i cereali antichi hanno un valore culturale e storico, usandoli possiamo conservare e/o riscoprire antiche tradizioni. Quinto e ultimo motivo, stavolta di ordine pratico: la loro coltivazione è una valida alternativa per quelle zone di montagna in cui sono impossibili le tecniche dell’agricoltura intensiva di pianura.
2) Grano duro e grano tenero
Se parlando di “grani antichi” ci riferiamo solo al frumento, allora intendiamo quelle varietà diffuse localmente fino al 1950 in tutta Italia, prima che iniziasse una massiccia manipolazione per aumentarne la resa o per ottenere farine più adatte ai prodotti industriali da forno.
La Guida delle Prealpi Giulie di Olinto Marinelli, pubblicata nel 1912, ci dice che nella “zona collinesca” di Tricesimo “la produzione media di frumento è di 17 quintali per ettaro, cifra relativamente molto elevata; sono coltivate le varietà di frumento Nostrana, Cologna, Noè, Rieti.”
Bisogna innanzitutto fare una distinzione tra grano duro,Triticum turgidum durum, e grano tenero, Triticum aestivum aestivum. Una delle varietà riscoperte recentemente è la “Senatore Cappelli”, selezionata all’inizio del Novecento dal genetista Nazareno Strampelli (1866-1942), assai famoso in ambito agronomico.
E’ una selezione della varietà nordafricana Jeanh Rhetifah ed era largamente coltivata in Italia fino al 1960 circa, quando fu soppiantata da altre cultivar di maggior produttività. Basti pensare che il grano Senatore Cappelli ha una resa di 10-15 quintali per ettaro (in agricoltura biologica), quindi circa come al tempo del Marinelli, mentre le varietà “moderne” arrivano a 80-90 quintali per ettaro (in agricoltura convenzionale). E, a proposito, la varietà “Rieti”, da noi coltivata a inizio Novecento, è proprio quella da cui lo Strampelli partì per il suo lavoro di selezione. Interessante anche il grano duro chiamato Khorasan o “orientale”, all’anagrafe scientificaTriticum turgidum turanicum, originario dell’Iran. Viene talora commercializzato con il nome di “grano dei faraoni”, come per sottolinearne una diretta provenienza dall’antichità. E’ un grano molto proteico e particolarmente adatto per fare pasta. E’ molto simile al Kamut ® tanto di moda oggi, che, ricordiamolo, non è una varietà di grano bensì un marchio registrato negli Stati Uniti da Bob Quinn nel 1990, tanto è vero che accanto al nome troviamo una R cerchiata.
Per quel che riguarda il grano tenero alcune vecchie varietà, coltivate diffusamente fino al 1950 circa, sono: Gentil Rosso, Frassineto, Abbondanza, Alternativa A, Verna, Piave, Canova. Oggi si adattano bene alla coltura biologica perché non erano stati selezionate per produzioni “spinte”.
3) Il farro, questo sconosciuto
Se, come abbiamo visto, per il grano bisogna fare delle distinzioni nell’uso dell’aggettivo “antico”, c’è un cereale che davvero ci perviene quasi intatto dall’antichità: il farro (da cui, fra l’altro, deriva il nome della…farina!).
Il farro, in friulano pire, appartiene allo stesso genere botanico del frumento. Si chiama infatti Triticum, suddividendosi poi in tre specie: quello piccolo (monococco, Triticum monococcum), quello medio (dicocco, Triticum dicoccum) e quello grande, chiamato anche spelta (Triticum spelta). Ma che cosa distingue questo cereale dal frumento duro o tenero? Si tratta del fatto che i chicchi sono avvolti in involucri (detti glume e glumelle) che la trebbiatura non è in grado di staccare; è necessario quindi fare una successiva operazione (la “pilatura”) per rendere commestibile agli umani questo cereale. Sappiamo con certezza che era molto coltivato dai Romani, anzi per secoli è stato l’unico frumento da loro conosciuto (nella specie dicoccum), ma piacerà ai nostri lettori sapere che è stato ritrovato negli scavi del villaggio neolitico di Sammardenchia di Pozzuolo, che risale a 7000 anni fa. Il farro piccolo, ormai diventato quasi una “coltura reliquia”, ha una produzione per ettaro molto bassa (15 quintali contro i 20-25 del Verna in agricoltura biologica, per esempio), ma questo gli ha consentito di mantenere le qualità nutrizionali che nei frumenti attuali si sono andate vieppiù diluendo. Gli altri due farri danno produzioni superiori: il dicocco 20-25 quintali per ettaro, la spelta 25-30 quintali per ettaro. Oggi il farro piccolo viene usato prevalentemente come il riso, quello medio per la produzione di bulghur (in Nordafrica) e di pasta (in Italia), mentre con la farina di farro spelta si ottiene un ottimo pane, molto digeribile e adatto anche a chi presenta intolleranze nei confronti delle farine di frumento. Sono entrate nell’uso espressioni come “intolleranza al glutine” e “sensibilità al glutine non celiaca”. Attenzione, però, tutte e tre le specie di farro contengono glutine, sono pur sempre dei frumenti, quindi i celiaci le devono evitare.
Per un viaggio molto indietro nel tempo si può provare a fare una polenta (piuttosto liquida) di solo farro, ispirandosi agli antichi Romani: ai loro tempi non c’era ancora il mais, ovviamente!
4) Profumo di polenta
Blave, sortùrc, granoturco, mais: che cos’era e che cos’è oggi? Una pianta che per secoli ha rappresentato in Friuli la sopravvivenza, oggi serve solo per produrre mangime per animali o, peggio che mai, combustibile. Nessuno conosce più i nomi delle vecchie varietà soppiantate dalle sementi ibride dai nomi strani, monopolio delle grandi multinazionali. Gli ibridi saranno anche grandi e belli, e sono più produttivi, ma davvero non hanno lo stesso sapore delle varietà antiche, che sono dette “vitree” perché hanno una frattura vitrea, e sono le più adatte all’alimentazione umana, perché sono più sostanziose e ricche di grassi.
Dobbiamo a questo punto accennare brevemente ai seed saver, una rete di “custodi di semi” che fa capo a “Civiltà contadina – Associazione nazionale per la valorizzazione del mondo rurale” (www.civiltacontadina.it). Il termine inglese indica la persona che “salva” del seme dal raccolto per poi riseminarlo nella stagione successiva, una prassi del tutto consueta, una volta. Tutti gli agricoltori lo facevano. Oggi questo termine identifica i volontari che svolgono opera di salvaguardia genetica per salvare i semi di varietà e specie minacciate di estinzione. Nella Bassa Friulana il “custode dei semi” Gianpaolo Chendi dedica la sua attenzione soprattutto al mais “Biancoperla”. La famosa varietà “Biancoperla” è una pianta alta fino a 4 metri, le pannocchie sono affusolate, allungate, con grandi chicchi bianco perlacei e brillanti, vitrei. Contengono 8 file di chicchi contro le 10-12 delle varietà ibride attuali. Il tutolo è bianco.La polenta di Biancoperla, fine, delicata e saporita, di colore bianchissimo, è insuperabile se abbinata a piatti come il boreto a la graisana, la zuppa di pesce tipica di Grado.
Nella zona di Tricesimo Renzo Nadalutti, assieme ad altri contadini, ha recuperato delle varietà antiche che assomigliano al Marano e al Cinquantino, e hanno un bellissimo colore aranciato, rosso scuro o addirittura porpora. Non sono varietà molto produttive, danno al massimo 30-40 quintali per ettaro contro i 150 q di quelle moderne (in agricoltura convenzionale); ad Aquileia è stata recuperato il Rosso di Aquileia/ Rôs di Acuilee, dalla frattura semivitrea e granella di colore rosso scuro con screziature color ambra.
5) Orzo e grano saraceno
L’orzo (Hordeum vulgare, in friulano vuardi) è un cereale che, a differenza del frumento, presenta il chicco avvolto in glumelle e che, se usato per l’alimentazione umana, necessita di un trattamento preliminare, la pilatura. Vi è però un’eccezione: l’orzo mondo, detto anche “nudo”(perchè privo di glumelle), è un’antica varietà che era caduta in disuso; di grande pregio dal punto di vista alimentare, si tratta di un orzo integrale che non ha bisogno di essere decorticato perché tutta la sua parte esterna (il pericarpo) è digeribile. Resta sempre al dente ed è molto adatto ai diabetici perché abbassa l’indice glicemico ed è ricco di betaglucani. Gli orzi “vestiti” vanno prima “spogliati”: se si tolgono solo le glumelle si parla di orzo decorticato, se si toglie anche il pericarpo, cioè la parte esterna del chicco, si parla di orzo perlato. La farina di orzo si può aggiungere a quella di frumento per fare un pane più saporito, oppure fare un pane solo di farina d’orzo, come in Tibet, oppure delle gallette azzime, ispirandosi agli antichi Romani, oppure seguire la ricetta sarda del “pan de orju”. Tostando un po’ la farina si ottiene un sapore veramente particolare e aromatico. Il tritello di orzo, in pratica orzo macinato grosso, è adattissimo per le minestre e di velocissima cottura; tostato, si usa come il cuscus.
Un roseo avvenire attende certo il grano saraceno, (Fagopyrum esculentum, in friulano sarasìn o paiàn), in quanto privo di glutine. Questa pianta, pur non essendo una graminacea, viene comunque considerata un cereale. E’ una pianta rustica, che cresce velocemente, ma richiede un bel po’ di attenzione al momento della raccolta, in quanto fiorisce ininterrottamente per circa 2 mesi e produce man mano i suoi frutti. Attualmente il grano saraceno intero, ma decorticato, cioè privato dei tegumenti esterni, si può usare come un cereale per zuppe e minestre. La sua farina può entrare nella composizione di pane e pasta, oppure, se mescolata alla farina di mais, può dare una polenta più scura e saporita. In Austria e in Slovenia si mangia anche la polenta di solo saraceno, ha un sapore forte ed è da abbinare con la selvaggina o con dei formaggi piccanti, come un buon Montasio di trenta mesi,100 g farina e 200 acqua, cuoce in 20 minuti…se piace, piace!
6) Segale, sorgo e miglio
In Friuli la segale (Secale cereale, in friulano siale) è un cereale dimenticato, ed è un vero peccato perché ha le stesse proprietà del frumento: come il frumento è a cariosside “nuda”, ed è panificabile, si può usare per fare sia pane che dolci. Ma se i due si assomigliano come valori nutritivi, le loro esigenze colturali sono ben diverse! La segale è una pianta molto resistente ai climi freddi (Germania e Austria insegnano) ed è amante dei terreni magri e poco fertili, quindi adatta alla nostra montagna. Per questo dovremmo sostenere quei piccoli agricoltori che la coltivano nelle zone impervie.
Per comentarsi con il pane di segale, è bene usare un impasto abbastanza liquido, 1 kg di farina per 1 kg di acqua per avere un risultato simile, se non migliore, al pane austriaco. Con la farina mista di segale e mais si può fare una “polenta nera”: è un ricordo dei tempi di guerra, quando il mais era poco e ci si poteva dire fortunati ad avere almeno la segale.
Il sorgo (Sorghum vulgare, soròs in friulano, termine derivato da sorc ros, per il colore rosso della granella matura) e il miglio (Panicum miliaceum, friul. mei) sono due cereali privi di glutine e, nella nostra epoca di crescenti intolleranze alimentari, sono destinati ad avere sempre maggiore importanza. Sono molto rustici e resistono bene alla siccità. Milioni di africani e orientali basano ancor oggi la loro alimentazione sul miglio.
Magari oggi nel nostro immaginario associamo con le scope il primo e con il mangime per gli uccelli il secondo, ma per secoli sono stati usati anche da noi come alimenti, e abbastanza coltivati nella nostra regione fino al secolo scorso. Il miglio decorticato in particolare è facilmente digeribile e adatto a chi svolge lavori intellettuali impegnativi, ai bambini e ai convalescenti. Sorgo e miglio oggi da noi sono due prodotti di nicchia, da valorizzare per variare l’alimentazione e abbassare la quantità di glutine che ingeriamo. Dopo essere stati cibi fondamentali nel passato, forse saranno anche dei cibi del futuro.
Per approfondire, consigliamo il libro di Enos Costantini Blavis, jerbis e pomis, edito da UTE Spilimbergo, nonché tutti i numeri della rivista Tiere furlane, da consultare comodamente online sul sito ufficiale della regione Friuli Venezia Giulia.