“Che male c’è se un postino di montagna dà un passaggio a una vecchietta che stenta a fare la strada di casa in un giorno afoso d’estate? E’ inutile andare a messa la domenica, mi pare, e poi lasciare che gli anziani tirino le cuoia su pa la rive!” Comincia così la mia intervista a Elena Tavella, puestine di mont, che con la grinta che la contraddistingue entra subito nel vivo dei problemi senza tanti preamboli.
Elena è diventata postina quasi per caso, per poi scoprire che è davvero il lavoro che fa per lei. Purtroppo attualmente è disoccupata perchè, pur avendo accumulato molto punteggio con il lavoro precario trimestrale, questo non le serve a nulla perché le graduatorie sono chiuse e le nuove regole per l’assunzione degli avventizi varate nel 2009 prevedono una sola chiamata all’anno. Ma procediamo con ordine.
Elena Tavella, classe 1967, vive a Moggio Alto con il marito Marco e la figlia Carlotta, ora sedicenne. Durante tutto il nostro colloquio mi colpisce il suo essere fortemente radicata nella cultura friulana e montanara, e la sua profonda conoscenza del territorio.Dopo varie peripezie lavorative, nel 2006 Elena invia all’ufficio postale di Tolmezzo una domanda per essere assunta come postina trimestrale o “jolly”, come si dice in gergo. La fortuna inaspettatamente le sorride: dopo soli 20 giorni viene chiamata in servizio e il posto di lavoro è proprio il comune di Moggio, che lei conosce come le sue tasche.
“Ero tutta contenta – mi confida – come puoi immaginare è molto più facile fare questo lavoro se conosci tutti, praticamente giochi in casa. Ma questa fortuna è durata poco, perché già dopo il primo mese mi hanno spostato a Resia. Ero preoccupata, qui i resiani hanno la fama di gente un po’ fredda verso chi non conoscono. E poi, sai, nel comune di Resia c’è un sacco di gente con lo stesso nome e cognome, solo a Oseacco ci sono ben tre Madotto S. e ti voglio vedere a recapitare la corrispondenza a quello giusto se non conosci nessuno e nessuno ti aiuta!
Io comunque a Resia mi sono trovata bene, anzi la gente era gentilissima, ti aiutavano senza alcun problema. E’ vero che i primi giorni ti studiavano da dietro le tendine, ma poi familiarizzavano subito!E’ importante che la gente abbia fiducia in te.” Come succede in tutti i piccoli paesi di montagna, il ruolo del postino va ben oltre a quello del semplice portalettere. E’ un punto di riferimento, una presenza amica, un aiuto anche psicologico per le tante persone anziane e sole, magari malate, che oramai sono la maggioranza delle persone che abitano stabilmente nelle “terre alte”. Ma le regole sono ferree e non permettono al postino di aiutare apertamente chi gli si rivolge per qualche piccola commissione.
Elena racconta: “In molti paesi vivono quasi esclusivamente persone anziane che non hanno la macchina. I mezzi di trasporto sono pochi e scomodi, magari una corriera alla mattina con il ritorno alla sera. Se uno sta poco bene cosa fa? Le persone anziane mi chiedevano spesso se potevo portare loro delle medicine oppure pagare per loro l’ICI o le bollette. Questo naturalmente a un postino finora è stato vietatissimo, anche se va contro ogni senso logico e umano. Ci sono tanti paesi come Lovea, Piedim, Rivalpo, Valle – tutte frazioni di Arta – che non hanno nemmeno un negozio, e magari neanche un’osteria, perché spesso le osterie hanno chiuso i battenti prima degli uffici postali, che finora sono stati dei piccoli baluardi contro lo spopolamento della montagna.”
Elena Tavella ha già lavorato in tantissime zone della Carnia, del Canal del Ferro e del Gemonese. “L’elenco è lungo – dice – Cabia, Tolmezzo, Trava, Avaglio, Cavazzo, Verzegnis, Montenars. E poi ancora Alesso, Chiusaforte, tutto il Canale della Raccolana, in un mese ho fatto 5 zone!”
Elena racconta che ci sono paesi facili come Alesso, che è stato tutto ricostruito dopo il terremoto, e altri molto più complicati. Preone è uno dei posti più difficili, ha delle stradine strette strette in cui non si riesce a passare con l’auto, e simili sono anche Trava, Avaglio e Lovea. Anche Sutrio è difficile perché è un paese grande e senza i nomi delle vie.Le zone industriali invece sono facili. Di solito le strade sono larghe e dritte, con bei cartelli chiari, le ditte e le fabbriche hanno dei bei cartelli.
La maggiore difficoltà di lavorare nei piccoli paesi di montagna consiste tuttavia nel fatto che tantissime lettere arrivano senza il nome della via. “Se sei in una città – dice ancora Elena – rimandi indietro la lettera perché l’indirizzo è insufficiente, ma in un paese piccolo come fai? Le lettere così sono la maggioranza!Ogni tanto qualcuno si rendeva conto della difficoltà e mi diceva “Ah biade puestine cambiade!” Infatti questo è il problema principale: se nei primi giorni che sei in un posto nuovo trovi dei colleghi che ti aiutano, allora va tutto bene, altrimenti sono guai.”
Le zone di recapito di solito consistono di 800 indirizzi, o punti di recapito che dir si voglia, e comunque la loro estensione è anche rapportata al disagio e ai km da percorrere. Il giro da fare per consegnare la posta viene dettagliatamente descritto in un quaderno detto “viario”. Le prime due ore di lavoro del mattino sono le più importanti: si tratta di smistare la corrispondenza per vie e poi per numeri civici, sperando per l’appunto che ci siano.
“L’aiuto dei colleghi è fondamentale. Nei primi giorni avevo continuamente veri e propri incubi notturni: sognavo che mi preparavano la posta sbagliata e non sapevo cosa fare. Sono stata proprio fortunata ad avere cominciato nel mio paese! “
Entrando così insieme a Elena dietro le quinte del lavoro di postino, quello che è la parte non visibile agli utenti, viene spontaneo domandarle di come faccia a memorizzare tutto in così poco tempo, soprattutto cambiando spesso zona. “Eh memorizzi perché devi, anche perché te lo sogni di notte, te lo assicuro. E poi bisogna saper prendere dei punti di riferimento. La mia tecnica è quella di prendere appunti di tutto quello che c’è sul percorso: qui c’è un cancello verde, là un cane, subito dopo un arco di pietra… Se non lo fai rischi di perdere il filo, tu vas vie di cjaf! Capitava che una casa avesse anche tre numeri civici! Allora dovevo prendere nota di tutto, anche delle cose in apparenza più stupide, come “gabbia per uccelli sul davanzale”.
Il recapito della corrispondenza in zone così vaste avviene naturalmente in macchina. “Ti danno l’auto aziendale, ma devi essere anche un buon autista perché d’inverno nei paesini e nelle frazioni ti trovi a dover affrontare tutte le stradine più piccole, e non è detto che dopo una nevicata vengano sgombrate subito. Penso per esempio a Fusea, Cazzaso e Curiedi, tutte frazioni di Tolmezzo, dove è particolarmente difficile arrivare se nevica, perché si trovano inerpicate su per la montagna, fino a mille metri di quota. Anche in questi paesini sono sempre stata ben accolta. Tante persone volevano invitarmi a pranzo da loro o anche solo offrirmi un piatto di minestra. Ricordo in particolare che le signore di Stolvizza mi regalavano spesso il loro famoso aglio, che è tanto difficile da trovare!”
Per un postino di montagna aperto e sensibile il lavoro offre quindi anche inedite esperienze che – se non fosse un parolone – si potrebbero definire antropologiche. Oltre a Moggio e alla Val Aupa, la personale hit parade di Elena vede al primo posto Lovea, frazione di Arta, seguita da Stolvizza, Cavazzo e Alesso. Ma perché proprio Lovea, le chiedo? “Ma guarda – risponde Elena – innanzitutto è un bel paese, piccolo, raccolto, e poi ci sono quasi solo donne anziane, tutte gentilissime, guai a non entrare a bere qualcosa con loro quando ti invitavano. Lì ho lavorato sotto Natale e quell’atmosfera mi è proprio entrata dentro.”
Non vorrei che corressimo il rischio di idealizzare un po’ troppo la montagna. Ma Elena ha lavorato per qualche tempo anche nelle vicinanze di Udine, e ha potuto sperimentare di persona la differenza: “La differenza è reale, tangibile.In pianura nessuno ti calcola, anzi molti fanno finta di non vederti perché temono che tu gli porti qualche notizia spiacevole o una multa da pagare, mentre in montagna tutti ti aspettano quasi con ansia, tu scandisci per così dire il loro tempo. Ti aspettano perché sperano che arrivi qualche notizia dal mondo di fuori, qualche cartolina, il giornale cui sono abbonati, ma il più delle volte anche solo per uno scambio di parole.”
Facciamo ora il punto della situazione odierna. “Ho lavorato benissimo in modo regolare fino al 2009, anno in cui è stato deciso che non si sarebbero più rinnovati i contratti agli avventizi, come avveniva in precedenza. Ma è una strategia completamente sbagliata e controproducente: chi lavora solo per tre mesi e sa già di non essere più richiamato, lavora male e se ne frega. Questa disposizione viene solo a scapito del servizio, anzi è proprio un malservizio, un malvivi par duc, anche per il postino vecchio che deve aiutare di continuo il nuovo. E per quanto riguarda le zone di montagna, io penso che sia giusto che un postino rimanga al lavoro anche e soprattutto nelle zone più disagiate. Tra i suoi compiti dovrebbe essere esplicitamente previsto quello di aiutare la gente, soprattutto in quei paesi dove non c’è nemmeno un negozio. E’ vero che tra poco i postini verranno dotati di un palmare proprio per poter sbrigare molte piccole incombenze burocratiche, che hanno una grande importanza per la qualità della vita in montagna, ma è anche vero che bisogna fare qualcosa di più.”
©Antonietta Spizzo per “IL NUOVO” 2009