Per quarant’anni Nella Marchiol ha gestito un piccolo locale nell’unica costruzione di Passo Tanamea. Attraverso i suoi ricordi si snoda la storia di una vita e di un piccolo mondo “di confine”
Passo Tanamea: soli 40 km da Udine, ma siamo già in un mondo alpino, ai piedi della bastionata dei Musi. Poco più in là, il confine.
Partendo da Tarcento, oltre le sorgenti del Torre, la strada rimonta la valle del Mea prima sul bianco letto ghiaioso, e poi su bassi terrazzi rivestiti di faggi. Il passo è un’ampia soglia boscosa dove oggi l’unica costruzione è il bar “Da Nella”, che la signora Onelia (per tutti Nella) Marchiol, ha gestito ininterrottamente per quasi 40 anni, dal 1968 fino alla fine del 2006, quando una grave malattia l’ha costretta a malincuore ad abbandonare quella che lei a tutti gli effetti considera la sua casa e il luogo dei suoi ricordi.
Incontro Nella, che nel 2008 compie 83 anni, in un caldo pomeriggio di maggio insieme alla figlia Gianna e tra madre e figlia inizia a dipanarsi – in un fitto riannodarsi di ricordi – la storia di una vita e di una famiglia intera.
Il progetto dei Cellino
“Mia mamma – inizia a raccontare Gianna – è di Micottis, mio padre invece era nato a Pradielis nel 1917, si chiamava Primo Cellino. Mio nonno Giuseppe Cellino, del 1879, autodidatta, nel 1906 aveva diretto i lavori di costruzione della centrale idroelettrica di Vedronza, voluta da Arturo Malignani per portare l’elettricità a Udine, prima città in Italia. Il nonno e il papà nel 1948 acquistarono – con un grandissimo sforzo economico – un vasto terreno a Passo Tanamea, che comprendeva anche una malga, delle baracche militari e una vecchia osteria.
Acquistarono tutto pensando al futuro, con lungimiranza, e da bravi operai e muratori quali erano ristrutturarono il vecchio edificio che nel corso degli anni divenne il bar “Passo Tanamea”. Da lì al confine di Uccea ci sono solo 6 km.” Primo e Nella trascorrono 4 anni a Tanamea, impegnati nei lavori, ma poi devono trasferirsi a Pradielis perché altrimenti le figlie Bianca e Gianna non potrebbero frequentare la scuola. Primo lavora nella centrale elettrica di Vedronza, dove rimane fino alla chiusura, nel 1971.
Dal 1952 al 1968 il bar viene gestito da una sorella di Primo, Amalia, mentre il paterfamilias Giuseppe ai primi di giugno si sposta con il bestiame nella malga, dove rimane fino all’autunno. Di queste estati in montagna passate con i nonni a Gianna sono rimasti struggenti ricordi e bellissime fotografie che mi illustra con voce carica di nostalgia.
Un futuro per Tanamea
Nel 1968, con le figlie ormai sposate, Nella e Primo possono riprendere in mano il locale di passo Tanamea che viene completamente ristrutturato e rinnovato, dotato di ben cinque camere con bagno, ribattezzato “Da Nella” e tenuto aperto estate e inverno. Nella ci investe tutto il suo entusiasmo, coadiuvata dal marito e dal figlio minore Giuseppe che pur studiando legge a Trieste passa a Tanamea tutti i momenti liberi. “Mio marito aveva un sogno – dice Nella – quello di dare un futuro a Tanamea, un punto di passaggio obbligato per tutti quelli che dalla valle del Torre volevano proseguire per la Jugoslavia. Lui, che era stato anche per molto tempo vicesindaco di Lusevera, si era sempre battuto perché il valico di Uccea diventasse di prima categoria, in modo che fosse transitabile per chiunque avesse il passaporto e non solo per i locali, che avevano il lasciapassare, la famosa prepustnica. In questo lo sostenevano anche molte altre persone del posto. Il suo sogno si avverò alla fine degli anni 60. Il secondo passo, nel 1971, fu la creazione delle piste da sci. Tanamea è un posto dove la neve si ferma, come a Tarvisio, nonostante siamo a soli 850 metri di quota. “
Come una mamma
Ora Gianna mostra una foto del 1970 che ritrae Nella dietro al bancone attorniata da giovani militari sorridenti.
“Sì,-dice ancora Nella – in quegli anni nella casermetta vicino al bar ogni mese si alternava una squadra di “fanteria di arresto”, che pattugliava il territorio e presidiava il valico di Uccea. Venivano quasi tutti dal sud e anche dalla Sardegna. Dovevano arrangiarsi a fare tutto da soli, ma spesso non c’era nessuno che sapeva cucinare, allora gli spiegavo le ricette, li portavo in cucina e gli insegnavo come fare. Altre volte mi portavano le loro provviste e io gli facevo dei grandi minestroni, alla friulana, usavo anche dei fagioli migliori dei loro, durissimi, che non si cucinavano mai. Mettevo ad asciugare i loro vestiti e i loro scarponi bagnati, mi facevano pena, alcuni avevano pochi soldi e allora gli offrivo io il cappuccino. Ascoltavano sempre le canzoni al jukebox… Poi c’erano gli alpini che venivano 2 volte all’anno a fare il campo a Tanamea.”
Facile alla conoscenza, sensibile ai problemi degli altri, disponibile ad ascoltare, Nella è stata una “mamma adottiva” per centinaia di giovani di leva. Nel corso degli anni si è fatta tantissimi amici, non c’è parte del mondo da cui non le arrivi posta.
Un territorio militarizzato
“Eh già, continua Gianna, mi ricordo che ero anche un po’ gelosa. Mamma ha una stanza piena di ricordi e regali portati dai militari, e ancor oggi – con i capelli grigi, moglie e figli – molti vengono a trovarla. Per me questi contatti con così tanta gente diversa sono stati una possibilità di apertura e conoscenza che altra gente del paese non ha avuto. Però non era sempre tutto rose e fiori, specie nei primi anni. Il nostro territorio era completamente soggetto alle servitù militari, non potevi neanche aprire una finestra senza il permesso del Comando Militare di Padova. Quando c’erano le esercitazioni al Poligono di Musi la strada per Tanamea veniva chiusa anche per molte ore, mio padre si è battuto a lungo perché questo non avvenisse, conservo ancora tutto il suo carteggio. Aveva anche ottenuto che i militari non si presentassero nel locale con mimetica e fucile per non spaventare i clienti”.
Infatti fino agli anni 70, e anche oltre, la fascia di confine vede un enorme spiegamento di forze militari. A Tanamea oltre alla Fanteria d’arresto, un corpo creato appositamente per opporsi a un’eventuale invasione jugoslava, c’erano anche i Carabinieri, poi un po’ più lontano il presidio della polveriera e a Uccea circa 20 guardie di finanza.
Il bar “Da Nella” diventa così un punto di riferimento importante a Tanamea. Gianna ricorda: “I miei genitori non chiudevano mai, non andavano mai in ferie… loro sentivano il loro lavoro come una specie di missione, per dare un servizio a chi passava da quelle parti. Una volta c’era anche il telefono pubblico e il tabacchino, ed era diventato anche un punto d’incontro per tutti gli emigranti che rientravano per le ferie.”
Momenti difficili
Purtroppo un primo brutto colpo smorza la grande passione di Nella e di Primo: è la morte improvvisa del figlio Giuseppe, in un incidente stradale, nel 1973. Ma tengono duro, anche perché ormai considerano Tanamea la loro casa. Poi, il terremoto. Anche il valico di Uccea a partire dal 1976 non è più aperto giorno e notte ma solo con un orario ridotto, e gli impianti di risalita non funzionano più.
Nella: “Dopo il terremoto c’era tutto da sistemare. E’ stata dura, ero tanto avvilita, ma ho trovato la forza di volontà per tirare avanti. Era la mia vita. Chi viene per la prima volta a Tanamea certo stenta a capire perché uno possa sentirsi tanto legato a quel posto. Gli sembra di essere fuori dal mondo, non trova che una parola negativa: “isolamento”. Ma non è vero: chi viene trova tranquillità, non isolamento. Anzi uno è a contatto continuo con tutte le persone che passano, e sono moltissime. Io non ho mai avuto paura di starci anche da sola, anzi. Non pensavo che potesse capitarmi qualcosa di brutto, avevo una fiducia che era più forte di me.”
Giungiamo così fino agli anni più vicini a noi con Nella che nonostante l’avanzare dell’età continua a “presidiare” notte e giorno, estate e inverno il passo di Tanamea, aiutata dalle figlie Gianna e Bianca e da molte persone amiche che le stanno accanto. Dice Gianna: “Anche nei momenti più difficili, come quando era ricoverata in ospedale, il suo primo pensiero andava al locale che era la sua casa. Non venire a trovarmi, mi diceva, vai piuttosto lassù! Ripensandoci capisco che nell’ostinazione di mia mamma a tenere aperto il suo locale, anche se negli ultimi anni era più in perdita che in attivo, come tanti piccoli locali di montagna, è perché in fin dei conti voleva restare a vivere nel posto dei suoi ricordi. Ma anch’io sento lì le mie radici . Quando sono stanca vado su a ricaricarmi, mi bastano un paio d’ore, taglio la legna, curo i fiori…”
Pensieri positivi
Prima di congedarci vorrei sapere che significato aveva per Nella vivere sul confine. La risposta è semplice e immediata: “Per noi era solo una cosa normale, naturale. Non era un confine. Con la gente slovena ci si frequentava parecchio. Noi non solo avevamo parenti a Bovec e Zaga, ma abbiamo anche avuto molto aiuto per il locale dalla gente di là. Era normale andare dalla parrucchiera o in pulitura oltre confine, a Plezzo/Bovec. Anche i nostri rapporti con i finanzieri di Uccea erano ottimi, passando si fermavano sempre per vedere se avevo bisogno di qualcosa.”
Gianna aggiunge: “Il confine era una formalità, divideva solo il territorio, ma non le persone. Io non ho paura dell’apertura del confine, anzi. Quando vado lì e sento tante auto passare, anche durante la notte, sono contenta, penso in positivo, credo che questa apertura possa portarci solo cose buone. In fin dei conti Tanamea dista solo 20 km da Plezzo, che è una località montana frequentatissima da gente di tutta Europa. Se qui da noi ci fosse interesse e volontà da parte dei giovani, perché non dovremmo ottenere anche noi risultati simili?”
© Antonietta Spizzo 2008 per “IL NUOVO”